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domenica 15 settembre 2024
 
dossier
 

La Cassazione: "Fu legittima difesa ribellarsi per non essere ricondotti in Libia"

18/12/2021  La suprema Corte ha confermato che i migranti che si ribellarono a bordo del rimorchiatore Vos Thalassa per non essere ricondotti nella violenza dei centri raccolta della Libia agirono per legittima difesa. Ecco perché

A ridosso della giornata internazionale a essi dedicata la Corte di Cassazione ha messo nero su bianco, in udienza pubblica, una decisione che chiarisce in fatto di diritti un aspetto importante: il non respingimento nei campi di tortura della Libia è un diritto umano. La Corte infatti ha dato risposta affermativa alla questione «se, in presenza di tutti i presupposti previsi dall’art. 52 cod. pen., è scriminata la condotta di resistenza a pubblico ufficiale da parte del migrante che, soccorso in alto mare e facendo valere il diritto al non respingimento verso un luogo non sicuro, si opponga alla riconsegna allo stato libico».

Finora c’è solo un dispositivo, le motivazioni chiariranno ulteriormente, ma tradotto in linguaggio corrente significa che nello specifico caso della rivolta a bordo del rimorchiatore Vos Thalassa si è trattato di legittima difesa, avendo i migranti agito, pur con comportamenti aggressivi, per tutelare il proprio diritto a non venire rinviati in un Paese, la Libia, dove sarebbero stati esposti al concreto pericolo di violenze e trattamenti inumani o degradanti.

In questo modo la Cassazione conferma la decisione del primo grado smentendo la sentenza di appello che aveva fatto discutere gli addetti ai lavori per la conclusione secondo cui «mentre il primo giudice ha ritenuto che il ricovero in un porto sicuro e vicino fonda un vero e proprio diritto della persona del migrante soccorso, il PM ha viceversa opinato nel senso che l’obbligo del non respingimento costituisce una regola di condotta imposta agli stati operanti e non anche un diritto della persona».

La Cassazione ha dato invece ragione al giudice di primo grado, evidentemente non dubitando che si sia in presenza di un diritto della persona.

Che cosa accada in quelli che Papa Francesco anche di recente ha ripetutamente chiamato i “lager libici” del resto è noto in Italia anche grazie a sentenze che hanno messo nero su bianco le violenze che avvengono nei centri di raccolta, quella del Gup di Messina confermata in Cassazione il 16 dicembre, ma anche quella a carico di Osman Matammud, emessa in primo grado e in Appello a Milano e confermata in Cassazione con l’ergastolo nel marzo 2021. Vicende, che commentando la sentenza, d’appello di Milano poi confermata dalla Suprema corte, Giulia Mentasti sintetizzava così in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, fasc. n. 1/2020: «Le voci dei testimoni sono tutte concordi nel ritenere che le violenze – perpetrate personalmente da Matammud – avvenivano nei confronti di chiunque, a qualunque ora del giorno e spesso senza apparente motivo: bastava che qualcuno avesse violato la regola del silenzio nel capannone perché Matammud lo percuotesse con bastoni, tubi di plastica e spranghe spezzando arti e procurando in alcuni casi la morte per le ferite riportate. Alcuni dei detenuti erano stati portati nella “stanza delle torture” (così chiamata dai testimoni) al cui interno, lontano dagli occhi degli altri, Matammud picchiava per ore e ustionava con l’elettricità o plastiche sciolte i corpi bagnati dei prigionieri, che poi tornavano stremati e gravemente feriti nel capannone con l’obbligo di tacere. Quanto alle donne, il loro destino era segnato dalle violenze sessuali che l’imputato infliggeva loro con cadenza quasi giornaliera portandole nella propria stanza, legando loro le mani dietro la schiena e abusando dei loro corpi. Molte delle persone sottoposte alle violenze morivano nei giorni successivi nella totale assenza di cure mediche e agli altri detenuti era affidato il compito di seppellirne i corpi, non prima però di averli lasciati esposti – a monito – per qualche giorno. L’unico modo per porre fine a queste sevizie (e avere salva la vita) era il pagamento del denaro dovuto come corrispettivo del viaggio: vero e proprio prezzo per la libertà».

Vicende che quando emersero in fase di indagine fecero dire a Ilda Boccassini, che in una lunghissima carriera anche in antimafia ne aveva viste tante: «Mai visto in 40 anni un orrore così». Sono le stesse cose che si ritrovano nella sentenza del Gup di Messina sul caso della rivolta sulla Vos Thalassa cui la Cassazione ha riconosciuto la legittima difesa.

 
 
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