Il sole intenso, il mare calmo e scintillante sembrano voler nascondere il dramma di Taranto. Ma le ciminiere dell’Ilva sull’orizzonte interrogano la società e la Chiesa del capoluogo ionico che con il suo pastore, monsignor Filippo Santoro, si sta spendendo moltissimo per trovare delle risposte
- Eccellenza, cominciamo questa intervista partendo dagli operai dell’Ilva. Che cosa sta facendo di concreto la sua Chiesa per loro?
«Diversi passi. Prima di tutto ha condiviso il dramma umano degli ammalati, delle famiglie vittime dell’inquinamento, la condizione degli operai e quella dei quadri dirigenti del siderurgico. Poi ha fatto dialogare tutte le parti, ministri, sindacati, magistratura, ambientalisti, lavoratori dell’Ilva, coinvolte nel problema. A questo è servito il convegno Ambiente, salute, lavoro. Un cammino possibile per il bene comune organizzato dalla diocesi nel novembre 2013. Dopo ancora si è spesa per far divenire Taranto un’autentica questione nazionale e internazionale. Al Governo ho chiesto impegni concreti per la copertura dei parchi minerali, l’adeguamento degli impianti e la bonifica del territorio: spero si passi ai fatti».
- Ben 44 persone e tre società sono state rinviate a giudizio e un sacerdote condannato con rito abbreviato. Ritiene che la Chiesa tarantina abbia sottovalutato questa situazione ambientale?
«La questione è delicata. La coscienza ecologica è maturata con il tempo. Sebbene il settimanale diocesano Il nuovo dialogo avesse già una posizione critica nei confronti dell’Ilva, tanto che era considerato un giornale “comunista”, nell’insieme la Chiesa tarantina non aveva sviluppato un giudizio approfondito sulla questione. Al rientro, dopo 27 anni di missione in Brasile come sacerdote fidei donum della diocesi di Bari, ho istituto a livello diocesano una Commissione per la custodia del creato, ho nominato un vicario episcopale per l’ambiente e ho sensibilizzato tutte le parrocchie affinché del problema si tenesse conto nello svolgimento delle iniziative».
-La Cei l’ha nominata presidente della Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia, la pace e la custodia del creato...
«Sì, nell’Assemblea generale di quest’anno».
-Taranto può, a buon diritto, diventare un laboratorio per la pastorale ambientale a livello nazionale?
«Certo, può diventarlo, ma in seguito all’enciclica Laudato si’ deve diventarlo».
-Come intende avvalersi dell’enciclica di papa Francesco?
«Sarà oggetto di studio della Commissione diocesana sulla custodia del creato che ho costituito e della Scuola di formazione sociale e politica nata lo scorso anno. Inoltre, per il prossimo anno, sarà con la misericordia l’asse portante delle direttrici episcopali per la comunità. Per noi la Laudato si’ è stata illuminante come metodo per partire dai problemi reali. Dalla mia esperienza in America latina, in particolare dalla Conferenza di Aparecida, a cui ho partecipato, ho imparato che le sfide non si possono lasciar cadere. La grande domanda è il modello di sviluppo della nostra terra. Taranto ospiterà, il 19 settembre prossimo, il Convegno nazionale sulla custodia del creato».
-Considera l’Ilva e il suo indotto ancora importanti per la crescita economica della città, oppure pensa che Taranto potrebbe avere uno sviluppo diverso? Come vede il futuro di questa città?
«Taranto non è solo Ilva. La vocazione originaria della città è turistica, agricola, commerciale, marinara con la miticoltura, e anche industriale. L’Ilva ha portato benessere economico, ma non ha avuto attenzione alla città. Abbiamo pagato un grande debito all’economia nazionale. È necessario rivedere il modello di sviluppo, in particolare di quello industriale, che deve essere armonizzato con le risorse proprie del territorio. Non possiamo semplicemente copiare il Nord».
-In quest’ottica come vede i sondaggi petroliferi in corso in Adriatico e nello Jonio?
«L’ho detto pubblicamente: sono contrario perché ci troviamo in un territorio già ferito che subirebbe danni ulteriori, minando ancora di più la vocazione della nostra terra. Con gli altri vescovi pugliesi stiamo conversando per una posizione comune».
-Lei si sta molto spendendo per la riqualificazione della Città vecchia...
«Abbiamo ristrutturato la maggior parte degli edifici di nostra proprietà, ma la Città vecchia ha bisogno di una riqualificazione urbanistica e umana. Architetti, politici, associazioni hanno proposto diverse idee, occorre però partire dai bisogni della gente che vi abita. Sulla base di questi bisogni stiamo ristrutturando Palazzo Santa Croce per farne un nuovo centro di accoglienza notturna con docce e refettorio, infermeria per poveri, senza tetto, migranti e ragazze madri».
-La Chiesa tarantina sta sopperendo alle deficienze manifestate dalla politica locale?
«Non si sostituisce alla funzione pubblica, ma collabora e la stimola incessantemente in una prospettiva evangelica».