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venerdì 11 ottobre 2024
 
Sinodo
 

La Chiesa chiede perdono

01/10/2024  Alla viglia del Sinodo le toccanti tesimonianze di chi è stato abusato, di chi vive sotto la guerra, di chi è fuggito dal suo Paese. E il mea culpa che Francesco fa leggere ai cardinali per tutte le volte che non abbiamo difeso i più fragili

«Chiedo perdono, provando vergogna…», lo ripetono, uno dopo l’altro, i cardinali Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, per la mancanza di coraggio nel cercare la pace, Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, per aver trasformato il creato in deserto, Seán Patrick O’Malley, arcivescovo emerito di Boston e presidente della Commissione per la tutela dei minori, per gli abusi di coscienza, di potere, sessuali e per le loro coperture, Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, per non aver difeso la dignità delle donne, Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat, per aver girato la testa dall’altra èarte di fronte ai poveri e aver impreziosito gli altari sottraendo il pane all’affamato, Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, per non aver proposto il Vangelo e, anzi, per aver dato giustificazione dottrinale a trattamenti disumani, Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, per aver posto ostacoli alla costruzione di una Chiesa davvero sinodale e per aver trasformato l’autorità in potere.

 

La veglia penitenziale voluta da papa Francesco alla vigilia dell’apertura della seconda fase del Sinodo universale che si svolgerà dal 2 al 27 ottobre, mette sul tavolo le ferite della Chiesa.

Bergoglio riprende la frase del Siracide «la preghiera del povero attraversa le nubi», per sottolineare che «noi siamo qui mendicanti della misericordia del Padre».

E spiega che è stato lui stesso a scrivere di suo pugno le richieste di perdono lette dai cardinali perché «era necessario chiamare per nome i nostri principali peccati». Perché la cura della ferita può partire soltanto «confessando il peccato che abbiamo compiuto».

Riprendendo l’immagine della parabola del fariseo e del pubblicano, Francesco ricorda che il primo, in piedi, con la fronte alta, «riempie la scena con la sua statura». Attira gli sguardi e si pone come modello. «In questo modo presume di pregare, ma in realtà sta celebrando se stesso, mascherando nella sua effimera sicurezza le sue fragilità». Il fariseo «si attende un premio per i suoi meriti, e in questo modo si priva della sorpresa della gratuità della salvezza, fabbricandosi un dio che non potrebbe fare altro che sottoscrivere un certificato di perfezione presunta. Un uomo chiuso alla sorpresa, chiuso in se stesso, chiuso alla grande sorpresa della misericordia. Il suo io non dà spazio a niente e nessuno, nemmeno a Dio». Anche noi, spesso, ci comportiamo così, occupando tutto lo spazio con le nostre parole, i nostri titoli. «Noi oggi», però, sottolinea il Papa, «siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio. Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature. E come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione? Come potremmo affermare di voler camminare insieme senza ricevere e donare il perdono che ristabilisce la comunione in Cristo?». Il Papa ricorda che, «di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene». Non possiamo pretendere di risolvere i conflitti alimentando l’odio o «riscattarci provocando dolore, salvarci con la morte dell’altro. Come possiamo inseguire una felicità pagata con il prezzo dell’infelicità dei fratelli e delle sorelle?», si chiede Francesco.

E, alla vigilia del Sinodo «la confessione», spiega, «è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare». Richiama la preghiera «dell’Adsumus con cui domani introdurremo la celebrazione del Sinodo: “Siamo qui oppressi dall’umanità del nostro peccato”. Questo peso non vorremmo che rallentasse il cammino del Regno di Dio nella storia».

È vero che abbiamo fatto la nostra parte, anche di errori, ma dobbiamo continuare nella missione. Francesco si rivolge ai giovani «che aspettate da noi il passaggio di testimonianza, chiedendo perdono anche a voi se non siamo stati testimoni credibili». E, nel giorno in cui si ricorda la memoria di Santa Tersa di Gesù Bambino, «patrona delle missioni», il Papa chiede l’intercessione della Santa con una breve pausa di silenzio e con una preghiera che recita: «O Padre, siamo qui riuniti consapevoli di avere bisogno del tuo sguardo di amore. Abbiamo le mani vuote, possiamo ricevere solo quanto tu puoi donarci. Ti chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, aiutaci a restaurare il tuo volto che abbiamo sfigurato con la nostra infedeltà. Chiediamo perdono, provando vergogna, a chi è stato ferito dai nostri peccati. Donaci il coraggio di un sincero pentimento per un’autentica conversione.  Lo chiediamo invocando il Santo Spirito perché possa riempire della sua Grazia i cuori che hai creato, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen».

 
 
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