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lunedì 07 ottobre 2024
 
 

«La Chiesa è comunicazione e deve farsi prossima tutti»

03/10/2013  «Con le sue telefonate», spiega la sociologa Chiara Giaccardi, «papa Francesco lancia un messaggio chiaro: cioè che viene prima la relazione del contenuto dottrinale. E solo all'interno di questa relazione è possibile il dialogo con tutti, anche con chi non crede, è lontano, ostile o indifferente».

«La pastorale delle telefonate inaugurata da papa Francesco è un messaggio molto chiaro: la Chiesa è comunicazione. E questa comunicazione non consiste nel dispensare dei concetti o principi ma è prima di tutto farsi vicino, offrire la possibilità di farsi incontrare».

Chiara Giaccardi, sociologa  e docente di Sociologia dei processi culturali presso l'Università Cattolica di Milano,  analizza il nuovo stile comunicativo del Pontefice.

Un Papa che alza la cornetta e chiama come una persona qualunque non è affatto comune. Qual è il significato di questo gesto?
«Ce ne sono tanti. Il più importante, anche dal punto di vista teologico, è che la Chiesa è comunicazione. Si pensa sempre che la comunicazione sia qualcosa di accessorio, uno strumento che serve per diffondere il messaggio e invece no. La Chiesa è anzitutto comunicazione perché Dio si è comunicato agli uomini attraverso Gesù. E questa vicinanza, questa prossimità che salva è il messaggio stesso della Chiesa».

Qual è il messaggio che papa Francesco vuole far passare?

«Facendo questo gesto di riduzione delle distanze e di prossimità egli ci ricorda che prima ancora del messaggio teologico la Chiesa è questo movimento di vicinanza, una costruzione di prossimità. In una delle sue omelie ha detto che la Chiesa è e deve essere una casa aperta per tutti. Non a caso quando uno è lontano e non sta bene, lo si chiama al telefono per sapere come sta. Molti fedeli gli scrivono perché sono in difficoltà, hanno problemi, vivono nel dolore, lanciano un grido di aiuto e una richiesta di vicinanza a cui il Papa risponde. Nell’intervista a La Civiltà Cattolica ha detto che nel rispondere ad un ragazzo si è sentito rigenerato e generativo, ha sentito questa paternità nei confronti di quella persona. Il primo messaggio, dunque, è: “Io sono con te! Che tu creda o no, che tu parli bene o male di me, io sono con te”. Solo all’interno di questa relazione che si crea possiamo costruire un dialogo. È una rivoluzione copernicana. Questo è un messaggio che le persone capiscono immediatamente perché parla alle loro vite e rompe quella barriera che si era creata tra la comunicazione della Chiesa e la maggior parte dei fedeli. Le telefonate, in fondo, sono uno dei tanti risvolti della pastorale della gestualità del Papa. Il messaggio importantissimo è che viene prima la relazione del contenuto dottrinale, solo all’interno di questa relazione possiamo dialogare e tu puoi capire qualcosa del messaggio che ti voglio trasmettere perché questa vicinanza è parte costitutiva del messaggio stesso».

Noi oggi siamo abituati a comunicare prevalentemente via email o con i messaggi. Le telefonate, invece, presuppongono una certa vicinanza. Qual è l’importanza della voce?
«La voce è un elemento di intimità, si usa solo quando è necessaria. Se c’è una cosa veramente importante si telefona, nella quotidianità ci si scambiano i messaggi. Roland Barthes diceva che la voce è ciò di più corporeo che noi possiamo dare all’altro quando non c’è la vicinanza fisica, perché essa rivela moltissimo di noi, del nostro stato d’animo e della sollecitudine verso l’altro, ha una sua materialità e concretezza. Il Papa, non potendo incontrare personalmente tutti, sfrutta questo mezzo che è il più vicino all’incontro fisico. È un bel segnale, indica una volontà di prossimità che insegna anche un metodo. È una catechesi attraverso la testimonianza, ci sprona a fare così anche noi, a telefonare se c’è una persona che non sta bene, a stargli vicino».

Non c’è il rischio che questa bulimia di gesti, dalle telefonate alle interviste, finisca per sviare l’attenzione dal messaggio che si vuole annunciare per focalizzarla invece sulla persona del Papa?
«Il rischio c’è, la nostra cultura è affamata di leader, di persone a cui potersi affidare. I fatti dimostrano che c’è una fortissima personalizzazione della leadership, non solo in politica. Papa Francesco, però, è consapevole di questo rischio e sin dall’inizio ha detto che lui è solo un mediatore. Ricordo quando disse di applaudire Gesù e non lui, è continuamente attento a evitare che l’attenzione si concentri su di lui e a indirizzarla verso ciò che lui testimonia. D’altra parte, bisogna anche considerare che oggi non c’è nessun messaggio credibile che non passi dalla vita della persona. Il testimone, in qualche modo, attira sempre l’attenzione su di sé ma l’attira su di sé per convogliarla verso qualcos’altro, verso l’origine del messaggio che vuole annunciare. In quest’operazione il Papa mi sembra riesca molto bene perché è modesto, umile, riconosce i suoi limiti».

Secondo il Papa le sue telefonate non sono una notizia. È così?

«Diciamo che la vera notizia non è tanto che il Papa telefona ma che la Chiesa comunica nella prossimità ed è una madre che sta vicino ai suoi figli. È come il quadro di Magritte che dice: “Questa non è una pipa”. È chiaro che è una pipa però la vera pipa sta altrove»

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