Un invito alla comunione, a vivere la chiamata del Signore “insieme” e mai come singoli, perché solo così, come dice la Lettera agli Efesini, è possibile annunciare Cristo alle genti. E, poi, la gratitudine che «è all'origine di ogni missione», la necessità di sfuggire al «clericalismo», il consiglio paterno di stare tra e con la gente. Dice tutto questo il cardinale Scola ai sedici nuovi sacerdoti ambrosiani – cui si aggiunge un candidato del Pontificio Istituto delle Missioni Estere – che diventano tali con l’Ordinazione presbiterale conferita, appunto, per l’imposizione delle sue  mani. 

Il Duomo, in questo giorno atteso e di festa, è gremito di migliaia e migliaia di fedeli – moltissimi i  giovani  –, di parenti e amici dei preti novelli 2015, di parrocchiani delle realtà pastorali in cui già sono impegnati. Concelebrano il rito il cardinale Tettamanzi, i Vescovi ausiliari, il Capitolo metropolitano, gli educatori del Seminario con il rettore, don Michele Di Tolve, tanti sacerdoti. La presentazione dei Candidati e il loro “Eccomi!”,  con cui inizia la Liturgia dell’Ordinazione, è il punto d’avvio ideale dell’intera riflessione del Cardinale che si stringe, con l’intera Chiesa ambrosiana, intorno a questi giovani uomini di età e provenienze diverse, ma tutti uniti dalla vocazione. Tra i nuovi presbiteri – che in questi giorni si sono “presentati” su Twitter – ci sono ingegneri (tre), un operaio, un tecnico nautico, un ex massaggiatore, il più “vecchio” ha cinquant’anni, i più giovani esattamente la metà. 

A ognuno si rivolge direttamente l’Arcivescovo: «L’origine di ogni missione può essere solo la gratitudine. Su questa base la Chiesa osa chiamarvi ad un impegno così radicale che non potete non percepire come del tutto sproporzionato. Ho detto: “la Chiesa osa chiamarvi”. Grande è la tentazione per noi presbiteri, nel concreto della nostra azione ecclesiale, di dimenticare che solo insieme possiamo annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo, solo per mezzo della Chiesa, solo insieme, mai come individui soli».

Dal Vangelo di Luca, con il suo invito a “essere misericordiosi come il Padre” e ad “amare i nemici” – «parole ostiche alle orecchie di noi uomini postmoderni» –, viene un’ulteriore consegna ai neo-sacerdoti di cui il Cardinale richiama il motto,“Tutto possiamo sperare dalla tua misericordia”: «la vostra vita, cari ordinandi, continuerà fino alla fine a scaturire da questa grazia di misericordia che vi precede qui ed ora. Gesù ha introdotto nei rapporti una modalità che esclude alla radice ogni presa di distanza da qualunque uomo per quanto abietta possa essere la sua situazione. Impariamo dai nostri fratelli cristiani perseguitati fino al martirio del sangue, impariamo dalla loro capacità di perdono».

E se la «la misura del ministero – ammesso che se ne possa parlare in questi termini – è il cuore di Dio», ciò che occorre è donarsi «senza confini, senza limiti, senza precondizioni». Un “modo” per vivere concretamente la donazione di sé chiesta al sacerdote, descritta dalla Lettura del Profeta Ezechiele, citata più volte da Scola nell’immagine del pastore che raduna e ricerca le sue pecore. «Adoperarsi per la comunione ecclesiale in Cristo generata dalla Trinità è compito essenziale del presbitero. In questo consiste l’essenza della vostra missione, molto di più di quello che potrete fare o non fare. Una comunione con Dio che genera comunione effettiva tra i fratelli. Una comunione che non è riducibile a buona educazione o a intenti positivi, ma che domanda una stima previa esaltando il dono di grazia che è Cristo Gesù. Egli fa maturare i suoi discepoli secondo la pluriformità di stati di vita, di carismi, dei compiti che attuano quell’unità della Chiesa che sola può convincere».

E, allora, arriva diretto, nelle parole del Cardinale, il monito: «Non convinci tu con il tuo gruppo, convince la bellezza della cattolicità che brilla nel frammento prezioso che è il tuo gruppo. Bando quindi, al pregiudizio che indurisce il cuore, alla mormorazione che sempre divide, alla presunzione di conoscere l’altro in profondità. Sono queste male erbe il cui fiore velenoso è il clericalismo che crea barriere di separazione e spegne l’ardore dell’annuncio».

Come a dire, con quella libertà e misericordia del cuore che solo il Signore dona, andare “oltre” con un annuncio a 360°. «L’insistenza del Papa sulla “Chiesa in uscita” non può lasciarci tranquilli. Data la “mole” di lavoro che ci è chiesto potremmo ritenerci dispensati dall’“uscire” incontro agli uomini e alle donne nel loro vivere quotidiano. Il pastore, invece, va in cerca. Come non essere astratti in questo richiamo? Non certo attraverso impossibili pretese di raggiungere tutti, ad uno ad uno, là dove vivono e operano. Solo in comunione, preti, religiosi e laici, potranno costruire una solida rete di rapporti proposta e aperta alla libertà di tutti. A questo scopo deve crescere nella nostra Chiesa ambrosiana una diversa disposizione pratica, del cuore, della mente, in una parola,  dell’azione, priva di pregiudiziali chiusure, nel rapporto tra comunità pastorali, parrocchie, decanati, zone e tutte le aggregazioni di fedeli, associazioni e movimenti a carattere universale, nazionale e locale. Bisogna che l’unità nella pluriformità sia cercata in maniera appassionata».
 
E, questo soprattutto da parte di giovani generazioni di preti capaci «di farsi carico dell’affascinante compito di far brillare nella nostra Chiesa la pluriformità nell’unità, legge imprescindibile della Communio. È questo un contenuto decisivo di quella riforma del clero che abbiamo cominciato a porre in atto e che vi deve vedere coinvolti con assiduità. Ricordatevi che il confine della vostra parrocchia non può essere fatto di muri, il confine della comunità è in ogni rapporto vissuto dal più lontano dei tuoi battezzati. L’uscita è verso tutto l’uomo e tutti gli uomini. Cristo è il nostro centro affettivo: solo se avremo fame di questo Pane vivo potremo saziare la fame del nostro fratello». 

Poi, i gesti, sempre suggestivi, della Liturgia dell’Ordinazione, con il “Sì, lo voglio”, le Litanie dei Santi, l’imposizione delle mani, nel silenzio della Cattedrale, la preghiera di Ordinazione, la vestizione degli abiti sacerdotali, l’unzione crismale e la gioia dello scambio della pace anche con i genitori. E, prima dell’applauso che suggella la Celebrazione, ancora un augurio del Cardinale che raccomanda ai tanti giovani presenti di saper «imparare ad amare, riconoscendo e comunicando la propria vocazione, magari nella scelta di donarsi interamente al Signore». 

Ricorda, l’Arcivescovo, la prossima Enciclica del Papa, dedicata all’ecologia, che uscirà a giorni – «invito tutti i sacerdoti a leggerla e ad approfondirla» – chiedendo, infine, di accompagnare con la preghiera il suo viaggio, che inizierà martedì, in Libano e in Iraq per portare la solidarietà della Chiesa ambrosiana ai cristiani perseguitati. In queste ore di dolore per le tragedie dell’immigrazione, il pensiero è anche per un’«attenzione a un’accoglienza equilibrata a tutti i profughi che stanno passando dalla nostra Milano in questi giorni, sia una delle conseguenze belle del gesto straordinario che abbiamo qui celebrato».
 
E prima che la festa esploda all’esterno della Cattedrale, tra striscioni e ancora applausi,  e per qualche consiglio nella semplicità dell’incontro personale e informale: «Vi raccomando – ci nuovi preti si ritrovano in casa dell’Arcivescovo, per la conferma delle destinazioni, già ricevute con il diaconato e in cui rimarranno cinque anni,onclude, con un sorriso, il Cardinale – la preghiera al mattino, il riposo e di curare il cibo in maniera sana. Fate lavorare i giovani perché se uno non è corresponsabile non partecipa. Non dimenticate che non c’è nulla di irrimediabile, qualsiasi cosa succeda, ma bisogna avere il coraggio di dire e di capire come uscire da un’eventuale fatica. I preti che io ordino mi impongono una paternità maggiore: se avete bisogno sono qui, non spaventatevi perché la verifica vera la fa solo la realtà».