Negli ultimi anni si è assistito a un incremento,
nei contesti educativi (in primis la scuola),
dell’interesse e dell’attenzione nei confronti
delle emozioni. A dimostrazione di ciò, vi è un significativo
aumento di progetti e percorsi di intervento che
pongono in primo piano le emozioni, riconoscendo a
esse un ruolo determinante in diverse aree: sviluppo
del pensiero e della conoscenza, costruzione del sé, motivazione,
competenza sociale, benessere psicologico.
In questa sede ci si soffermerà su un tema specifico,
la competenza emotiva, che verrà brevemente inquadrato
da un punto di vista teorico per poi presentare
dati di ricerca recenti sull’efficacia di alcune metodologie
di intervento nell’ambito dell’educazione delle
emozioni a scuola.
La competenza emotiva è definita come la capacità di
comprendere le proprie e le altrui emozioni e di saperle
regolare al meglio al fine di instaurare efficaci interazioni
sociali (Saarni, 1999). In particolare, a sottolineare la
valenza pragmatica e la spendibilità di questa competenza
nella vita quotidiana, gli studiosi di riferimento ne individuano
alcune componenti che si sviluppano nel corso
del tempo. Che cosa significa, dunque, essere “emotivamente
competenti”? Con questa espressione si rimanda
ad abilità come, per esempio, essere consapevoli del
proprio stato emotivo oltre che saper riconoscere e comprendere
le emozioni altrui.
Vi è poi la capacità di esprimere le proprie emozioni
imparando a dare loro un nome, ovvero possedere e saper
usare un vocabolario degli stati interni emotivi. Altre
abilità che concorrono a costituire la competenza
emotiva sono la spinta empatica nei confronti delle esperienze
emotive degli altri, il capire che ciò che si prova
internamente non necessariamente corrisponde a ciò
che si esprime (ovvero che a seconda della situazione e
dell’interlocutore si può decidere di mostrare di più o
di meno di quello che realmente si prova) e la capacità
di far fronte a situazioni emotive a valenza fortemente
negativa, cioè saper mettere
in pratica strategie di
autoregolazione degli stati
emotivi soprattutto quando
essi sono appunto molto
dolorosi e intensi. Ancora,
nel costrutto teorico di
competenza emotiva rientrano
la capacità di essere
consapevoli che il modo
di comunicare le emozioni,
e quindi di condividerle,
condiziona e definisce
la natura della relazione
con l’altro e, infine, l’autoefficacia
emotiva, cioè il
saper accettare le proprie
emozioni, accoglierle, sentire
di averne il controllo.
Tutte queste abilità vengono
accorpate in tre macrocategorie:
espressione,
comprensione e regolazione
(Denham, 1998).
L’espressione delle
emozioni avviene attraverso
diversi canali di comunicazione,
di tipo non verbale
e verbale. Possiamo
quindi esprimere le emozioni
che proviamo (siano
esse a valenza positiva,
negativa o mista e più o
meno intense) attraverso
il volto, la postura, i gesti
e i movimenti del corpo,
il contatto corporeo, il tono
della voce, persino
l’abbigliamento che scegliamo
di indossare. Oltre
a questi canali non verbali,
esprimiamo le emozioni
attraverso la parola, utilizzando
cioè quello che
viene definito lessico psicologico
emotivo-affettivo.
Il bambino, già a partire
dai due anni, inizia a
utilizzare espressioni come
“Ho paura”, “Sono arrabbiato”,
“Sono contento”,
“Ti voglio bene”, con
i quali verbalizza e comunica
le proprie emozioni
e sentimenti (Bretherton,
Beegley, 1982).
Numerosi studi hanno
messo in luce come il fatto
di esprimere attraverso
il linguaggio ciò che si
prova aiuti i bambini a saper
riconoscere e comprendere
sempre meglio
gli stati interni emotivi
propri e altrui, specialmente
se questo avviene
in contesti di interazione
e scambio conversazionale
con adulti significativi o
con i pari (Hughes, Lecce,
Wilson, 2007; Tenenbaum,
Alfieri, Brooks,
Dunne, 2008). Il fatto,
per esempio, che i genitori,
in particolare le madri,
nel rivolgersi ai bambini,
utilizzino frequentemente
un lessico psicologico è
risultato essere un predittore
della successiva capacità
dei piccoli di mentalizzare
e comprendere il proprio
e altrui mondo interno
(Denham, Kochanoff,
2002). Questo dato si rivela
esser cruciale sul piano
educativo, in quanto gli
adulti, siano essi genitori,
educatori o insegnanti,
possono utilizzare più consapevolmente
questo tipo
di linguaggio con i bambini
stimolandoli a fare altrettanto.
In una recente
ricerca-intervento, descritta
qui di seguito, è stato dimostrato,
infatti, che educare
i bambini di età prescolare
a usare il vocabolario
delle emozioni li facilita
lo sviluppo della comprensione
emotiva (Grazzani,
Ornaghi, 2011).
Definita anche come
“teoria della mente emotiva”
(Saarni, Harris, 1989),
la comprensione delle
emozioni è il secondo importante
aspetto del costrutto
di competenza
emotiva, che si sviluppa a
partire dalla prima infanzia.
Essa riguarda la comprensione
della natura
delle emozioni, delle cause
che le elicitano e del fatto
che possono essere regolate
o controllate mediante
diverse strategie.
Per quanto riguarda le
cause, per esempio, il
bambino dapprima è in
grado di comprendere
che le emozioni possono
essere provocate da cause
di tipo esterno (come il
gioco preferito che si rompe
o ricevere un pacco regalo)
e, successivamente,
a partire dai 6 anni circa,
che le emozioni possono
essere causate anche da
fattori interni, come i pensieri,
le credenze, i ricordi,
i valori morali (Pons,
Harris, de Rosnay, 2004).
La terza macro-categoria
che racchiude alcune
delle abilità della competenza
emotiva sopra citate
è la regolazione delle
emozioni. Si tratta di
un’attività psichica complessa
e articolata, che costituisce
un prerequisito
per il buon funzionamento
sociale. In letteratura,essa viene definita come
l’insieme dei processi
estrinseci e intrinseci coinvolti
nella valutazione,
nel monitoraggio e nella
modifica delle reazioni
emotive. Quotidianamente,
le persone mettono in
atto diverse strategie di regolazione
emotiva di tipo
cognitivo o comportamentale
(Parkinson, Totterdell,
1999). Fra le strategie
cognitive troviamo,
per esempio, la capacità
di distogliere l’attenzione
da stimoli che provocano
emozioni intense a valenza
negativa, oppure, al
contrario, di concentrarsi
su aspetti specifici di una
situazione mettendo in atto
quella che viene definita
“ruminazione mentale”.
Fra quelle comportamentali,
che quindi mettono
in gioco la persona
sul piano dell’agito, vi sono,
per esempio, fare esercizio
fisico, esercitare pratiche
di rilassamento, allontanarsi
fisicamente dalla
situazione elicitante,
parlare con qualcuno. Alcuni
scelgono, quindi, di
adottare strategie regolative
di “evitamento” della situazione,
altri di “coinvolgimento”.
La precoce predisposizione
del bambino alla comunicazione
diadica viene
incentivata dalla regolazione
emotiva reciproca
fra caregiver e bambino
che, sebbene inizialmente
sia per lo più guidata
dall’adulto, favorisce il
passaggio dalla mutua regolazione
all’autoregolazione.
Il bambino, già nei
primi mesi di vita, mostra
delle condotte di regolazione
come la suzione del
pollice per calmarsi e la ricerca
dell’adulto quando
è spaventato; durante
l’età prescolare mostra di
saper usare strategie di regolazione
emotiva che
vanno dal controllo verbale
al gioco di finzione, per
poi giungere in età scolare
a padroneggiare strategie
di mentalizzazione
emotiva (riflettere sulle
esperienze emotive e verbalizzarle)
e di distanziamento
cognitivo (pensare
ad altro) sempre più sofisticate.
Di seguito, vengono presentati
due studi-intervento
condotti rispettivamente
nelle scuole dell’infanzia
e primaria. Nel primo
lavoro è stata indagata l’efficacia
di attività finalizzate
a incrementare l’uso
del lessico emotivo da parte
dei bambini sulla loro
conoscenza e comprensione
delle emozioni (Grazzani
Gavazzi, Ornaghi,
2011). Nel secondo studio,
tuttora in corso,
l’obiettivo è quello di indagare
se sia possibile favorire
lo sviluppo di alcune
abilità della competenza
emotiva mediante un training
sulla comprensione
delle emozioni. Le due ricerche
sono accomunate
dallo stesso impianto metodologico
generale, ovvero
due gruppi di partecipanti
(gruppo sperimentale
e gruppo di controllo)
e tre fasi di ricerca, pretest,
training e post-test.
Studio 1. Come poco
sopra anticipato, lo scopo
della ricerca era quello di
verificare se allenare bambini
di età prescolare
nell’uso attivo e consapevole
del lessico emotivo
giocasse un ruolo significativo
nel favorire la comprensione
dei termini
emotivi e, più in generale,
la comprensione degli stati
interni di natura non
epistemica. Alla ricerca
hanno preso parte 100
bambini di 3, 4 e 5 anni,
equamente divisi fra maschi
e femmine, frequentanti
tre scuole dell’infanzia
di Milano e provincia.
I bambini sono stati casualmente
assegnati a due
gruppi: gruppo sperimentale,
che ha preso parte al
training, e gruppo di controllo.
A tutti i partecipanti
sono state somministrate,
prima e dopo l’intervento
(ovvero nelle fasi di
pre- e di post-test), prove
di tipo linguistico e cognitivo
finalizzate a valutare
il loro livello iniziale e finale
in merito alle competenze
indagate (comprensione
del lessico emotivo,
comprensione delle emozioni,
teoria della mente).
I bambini del gruppo sperimentale,
durante la fase
di intervento, della durata
di circa due mesi, sono
stati coinvolti, due volte alla
settimana e in piccolo
gruppo, in attività di gioco
linguistico e di conversazione
finalizzate a stimolarli
nell’uso di termini
emotivi come arrabbiarsi,
spaventarsi, ecc.
Al contrario, i bambini
del gruppo di controllo
non hanno preso parte a
nessuna attività di gioco
linguistico. L’analisi statistica
dei dati ha rivelato
che, nella fase di post-test,
i bambini del gruppo sperimentale
hanno ottenuto,
rispetto ai loro coetanei
del gruppo di controllo,
prestazioni significativamente
più elevate nelle
prove somministrate.
Per quanto riguarda il
test di comprensione delle
emozioni (Tec, Albanese,
Molina, 2008), per
esempio, il punteggio medio
dei bambini del gruppo
sperimentale è passato
da 3.55 a 5.08, mentre
quello dei bambini del
gruppo di controllo da
3.73 a 4.24. Inoltre, è
emerso che il miglioramento
è più evidente nei
bambini di 3 e 4 anni, a dimostrazione
del fatto che
sono soprattutto i più piccoli
a giovare di questo tipo
di attività.
Studio 2. L’obiettivo
generale di questo secondo
training study, è quello
di verificare l’efficacia di
un intervento con bambini
di età scolare sulla comprensione
delle emozioni.
Si tratta di una ricerca
ancora in fase di svolgimento
e si riportano i dati
preliminari relativi a una
parte del campione, 40
bambini frequentanti due
classi seconde di una scuola
primaria (età media: 7
anni e 3 mesi) di Monza,
di cui 20 maschi e 20 fem-mine. Durante la fasi di
pre- e post-test a tutti i partecipanti
sono state somministrate
prove finalizzate
a valutare le loro competenze
in termini di comprensione
del lessico psicologico
(sia cognitivo sia
emotivo), di comprensione
delle emozioni, di teoria
della mente (in particolare
una batteria di prove
di comprensione della
falsa credenza) e di comportamento
empatico.
Anche in questo caso il
campione è stato diviso in
due gruppi: sperimentale
e di controllo. I bambini
del gruppo sperimentale
hanno partecipato a quindici
incontri in cui venivano
coinvolti dal ricercatore
in attività sulla comprensione
dell’espressione
e natura delle emozioni,
sulla comprensione
delle cause esterne e interne
delle emozioni e, infine,
sulla conoscenza e
comprensione delle strategie
di regolazione emotiva
(esempi di alcune delle
attività proposte sono
rintracciabili nel volume
di Grazzani, Ornaghi, Antoniotti,
2011, La competenza
emotiva dei bambini. Proposte
psicoeducative per le
scuole dell’infanzia e primaria).
Tali attività sono state
condotte per cinque
specifiche emozioni: paura,
rabbia, tristezza, felicità
e colpa. Sebbene la ricerca
non sia ancora conclusa,
i primi dati sono incoraggianti.
Le analisi statistiche
mostrano che i
bambini del gruppo sperimentale
hanno ottenuto
al post-test punteggi medi
significativamente superiori
rispetto a quelli dei
bambini del gruppo di
controllo. In particolare,
tale miglioramento ha riguardato
le prestazioni
nella batteria di prove di
teoria della mente, nel
test di comprensione del
lessico emotivo e nel test
di comprensione delle
emozioni. Limitatamente
a quest’ultimo, per esempio,
il gruppo sperimentale
è passato da una media
di 6,82 al pre-test a una
media di 8,29 dopo il training,
mentre il gruppo di
controllo da una media di
6,94 a una media di 7,30.
Alla luce di quanto
emerge dalla letteratura e
dai risultati ottenuti nelle
ricerche qui brevemente
illustrate, si può affermare
che favorire nei bambini
lo sviluppo della competenza
emotiva li aiuta a
stare meglio con loro stessi
e con gli altri.
Quindi, una precoce e
adeguata educazione alle
emozioni, sviluppata in
un contesto educativo come
la scuola, può configurarsi
come un’occasione
importante per promuovere
nei bambini abilità
che permettono loro di
conoscere meglio sé stessi
e gli altri e possono costituire
un fattore di protezione
e di prevenzione
nei confronti di condotte
disadattative.