E’ davvero una punizione esemplare quella che, nel video sotto (sempre ammesso che non sia un "fake" abilmente costruito sul web), la madre commina alla propria figlia, colpevole di aver preso in giro una compagna che ha perso i capelli a causa delle terapie alle quali è stata sottoposta per una grave malattia? Io penso di no. E oltre a pensarlo, lo “sento” nella pancia. Il video che ha fatto il giro del mondo si fa “sentire” nella pancia prima che nella mente e nel cuore. Le urla strazianti della ragazza la cui testa viene rasata dalla madre per insegnarle a non commettere più atti di bullismo mi fanno stare male e mi risultano quasi insopportabili.
E’ vero: probabilmente era insopportabile anche il comportamento della ragazza bulla verso la sua vittima. Ma io sono convinto che l’educazione non sia una strategia basata sulla legge del “taglione”. Per aiutare un minore a cambiare attitudine e spingerlo alla comprensione delle implicazioni e delle conseguenze del proprio gesto non trovo giustificabile ricorrere ad una simile violenza.
Molti adulti credono che in educazione ci vogliano le maniere forti. “Sberle e sculaccioni non hanno mai fatto male a nessuno, anzi a volte sono l’estremo rimedio in una situazione che sembra non essere gestibile altrimenti” pensano in molti., cosa che in passato ha reso giustificabili le punizioni corporali in molti ambiti educativi e che fa pensare al il corpo del minore da “raddrizzare” alla stregua di un campo di battaglia sul quale far sentire che la potenza dell’adulto può tutto, soprattutto quando c’è l’alibi dell’intervento educativo. Ma nessun intervento “educativo” può fare del corpo dell’altro ciò che si vuole: vale per tutti, anche per chi ha commesso reati gravi. La sanzione e la riabilitazione del prigioniero non dovrebbero mai prevedere la violazione del suo corpo.
Di fronte ad una storia di bullismo tra minori, spesso gli adulti intervengono cercando di aiutare il bullo a riflettere sulla sofferenza che ha causato alla propria vittima. E’ un intervento basato sull’empatia, sul far sentire ciò che sente l’altro. E il secondo passaggio prevede che chi ha maltrattato una terza persona, “ci metta la faccia” e vada a chiedere scusa e ascolti dalle parole (e spesso veda nelle lacrime) della propria vittima il male di cui si è reso responsabile. Sostenere questo percorso educativo significa permettere a chi ha sbagliato di riparare l’errore fatto. I ragazzi si muovono nella vita in modo alquanto maldestro, fanno molti errori. Ma l’intervento dell’adulto non li deve mai trasformare “nell’errore che hanno fatto”.
Questa mamma fa sentire alla propria figlia la sua “potenza”, ma non la sua “competenza”. Violare in modo così maldestro il corpo della figlia, non è giustificabile, nemmeno a scopo educativo. E dopo un intervento del genere, spesso i ragazzi non riflettono sull’errore che hanno fatto. Ma provano una rabbia incontenibile verso l’adulto che, invece che educarli, li ha umiliati. Umiliare, denigrare, aggredire fisicamente: questi verbi appartengono al codice della “pedagogia nera” di cui tanto ha parlato Alice Miller, una pedagogia che moltiplica le sofferenza e che non solo non educa, ma disumanizza la relazione tra educatore ed educando, facendo sentire quest’ultimo sbagliato, arrabbiato e a sua volta bisognoso di vendetta.
Non è mai vincente la legge del taglione. E anche se è vero che oggi molti genitori non sanno dare i giusti limiti e confini ai figli, non sanno costruire insieme a loro il significato delle azioni maldestre, pericolose, offensive, etero-lesive di cui si rendono protagonisti, l’intervento di questa mamma a me sembra lontano anni luce da ciò che davvero servirebbe a sua figlia.
E mi chiedo anche com’è possibile che un video di questo tipo produca un tifo da stadio tra detrattori e sostenitori, tra chi è pro e chi è contro. Purtroppo, la diffusione di un video così non rappresenta solo la sconfitta dell’educazione. Rappresenta anche la sconfitta del buon senso.