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lunedì 14 ottobre 2024
 
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La conferenza stampa di papa Francesco letta da un teologo

13/09/2019  Ci sono almeno tre motivi squisitamente teologici che possiamo rinvenire nelle parole rivolte da papa Francesco ai giornalisti in risposta alle loro domande, nel viaggio di ritorno dal viaggio in Monzambico, Madagascar e Mauritius (di Pino Lorizio).

Ci sono almeno tre motivi squisitamente teologici che possiamo rinvenire nelle parole rivolte da papa Francesco ai giornalisti in risposta alle loro domande, nel viaggio di ritorno dal viaggio in Monzambico, Madagascar e Mauritius.

 

Il primo, quello più ripreso da tutti i media, riguarda il tema di un possibile “scisma”, paventato a causa delle acerbe critiche che vengono rivolte al suo pontificato da parte di settori reazionari del cattolicesimo statunitense. “io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano”, ha detto il papa. Una lettura superficiale potrebbe far pensare a un atteggiamento di autosufficienza, tendente a minimizzare la minaccia di quella che possiamo considerare una delle più grandi tragedie che la comunità credente possa vivere, ossia la divisione interna di quel popolo di Dio, per la cui unità il Signore stesso ha pregato. Si tratta invece di una visione ispirata al Nuovo Testamento e in particolare all’insegnamento paolino, in quanto l’apostolo in una delle sue più importanti lettere, la I ai Corinzi, scriveva che “è necessario che avvengano divisioni tra noi” (1Cor 11,19) [il testo greco recita  δεῖ γὰρ καὶ αἱρέσεις ἐν ὑμῖν εἶναι, letteralmente “è necessario che avvengano eresie in noi”]. La storia della teologia ci insegna che abbiamo un’eresia non allorché siamo di fronte a una falsità della dottrina, ma quando si radicalizza un aspetto delle verità di fede a scapito del tutto. Così ad esempio se affermo che Gesù è solo Dio, di fatto affermo un’eresia, così come se affermo che Gesù è solo un uomo. La verità sull’identità del Cristo, affermata nel dogma di Calcedonia (451 d. C.), è che Egli è vero Dio e vero uomo. Così se si afferma che l’etica cristiana e pura e semplice affermazione di valori assoluti e oggettivi e non anche attenzione alla situazione delle persone e delle comunità, di fatto si lacera la complessità della fede e della morale. E qualora intorno a questa unilaterale posizione si costituisse una comunità (meglio sarebbe dire “setta”), alternativa alla Chiesa, avremmo lo scisma. L’eresia è dunque un taglio, una lacerazione della verità cattolica, lo scisma la divisione del corpo ecclesiale. Paolo di fronte alle forti divisioni presenti nella comunità di Corinto, afferma che esse sono necessarie, “perché si manifestino quelli che sono i veri credenti”, ossia coloro che lavorano per l’unità della comunità e si oppongono alle lacerazioni. È interessante infine a questo riguardo notare come nel prosieguo di questo capitolo della lettera paolina è incastonata l’attestazione neotestamentaria più antica che riguarda la cena del Signore, ossia l’eucaristia, dove si esprime sacramentalmente l’unità della comunità credente.

 

Il secondo motivo riguarda il tema del proselitismo e della testimonianza in rapporto all’evangelizzazione. A tal proposito papa Francesco, in più occasioni, mette in guardia quanti sono impegnati nella missione evangelizzatrice della Chiesa a non adottare comportamenti e linguaggi propri di chi, al contrario, tende al proselitismo. Questo perché, afferma il papa, la testimonianza della vita deve precedere la parola e far sorgere domande alle quali risponde la Parola di Dio. Adottando questa prospettiva papa Francesco innesta il suo magistero su quello del Concilio Vaticano II e nella dottrina della rivelazione che quel concilio ha promulgato nella costituzione dogmatica Dei Verbum, dove al n. 2 leggiamo che “la divina rivelazione si fa attraverso gesti (fatti) e parole (gestis verbisque), intrinsecamente connessi”, né possiamo considerare casuale il fatto che nel testo si faccia precedere il gesto, il fatto, l’evento alla parola, in quanto il cristianesimo è innanzitutto l’accoglienza di un evento, attraverso il quale l’Eterno irrompe nel tempo, l’Infinito nel finito, il Trascendente nell’immanenza. Coerentemente con tale dinamica della rivelazione, la missione si strutturerà secondo la scansione: fatti (gesti), parole, fede. E sarà proprio tale sequenza che impedirà di cedere ad atteggiamenti proselitistici, che riducono il vangelo e la fede a mera ideologia.

 

Infine il tema della diversità come ricchezza e la necessità del dialogo interreligioso. Già nell’incontro coi giovani a Maputo, aveva affermato: “Grazie di essere qui alle diverse confessioni religiose. Grazie perché vi incoraggiate a vivere la sfida della pace e a celebrarla oggi insieme come famiglia, compresi coloro che, pur non appartenendo ad alcuna tradizione religiosa, sono venuti per partecipare... Così sperimentate che tutti siamo necessari: con le nostre differenze, ma necessari. Le nostre differenze sono necessarie”. E nella conferenza stampa ha ripreso il messaggio, su cui spesso insiste, circa la necessaria contrapposizione a una globalizzazione che si risolva in omologazione delle differenze e delle identità di popoli, culture, religioni. Riprendendo un’immagine che gli è cara, papa Francesco sull’aereo ha detto: “La globalizzazione non è una sfera: tutti uguali, ogni punto equidistante dal centro, ma un poliedro, dove ogni popolo e nazione conserva la propria identità e si unisce a tutta l'umanità”. Siamo così di fronte alla policromia e polifonia dell’umanità che le giovani popolazioni e generazioni sanno esprimere e che in noi, abitanti della vecchia “nonna Europa” dovrebbero destare stupore e gioia di vivere, che è la gioia del Vangelo.

 

 

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