A pochi giorni dalla approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, del disegno di legge di riforma della cooperazione allo sviluppo, ActionAid presenta il rapporto annuale “L'Italia e la lotta alla povertà nel mondo” (pubblicato da Carocci Editore). ActionAid chiede alla cooperazione italiana, insieme alla riforma (attesa da 27 anni), anche più efficacia e più coerenza.
I fondi per la cooperazione si sono ridotti: nel 2011 rappresentavano lo 0,20 del PIL, nel 2012 sono scesi a una quota dello 0,13 per cento e questo, secondo l'analisi dell'Ocse, pone l'
Italia agli ultimi posti nella clasifica dei Paesi che destinano fondi pubblici allo sviluppo. «Siamo impegnati a voltare la pagina del passato, della progressiva disattenzione e dei tagli ai fondi per la cooperazione. Abbiamo sancito un percorso di crescita graduale del nostro aiuto pubblico allo sviluppo, l'unico che la situazione finanziaria ci consente, e che ora dobbiamo assolutamente mantenere», promette nella prefazione del rapporto il
ministro degli Esteri, Emma Bonino.
«Una buona cooperazione internazionale non può che nascere da
buone scelte politiche fatte nei confini nazionali», dice
Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid. Queste politiche riguardano, ad esempio, l'
immigrazione. Il rapporto evidenzia come la scarsa attenzione alle politiche di inclusione sociale abbia avuto effetti sulla destinazione delle risorse. Il fondo per le politiche di inclusione degli immigrati istituito nel 2007 (50 milioni di euro, diventati 100 nel 2008) è stato cancellato nel 2009, mentre ammontano ad almeno 1,6 miliardi di euro le risorse stanziate fra il 2005 e il 2001 per il contasto all'immigrazione.
Cecile Kyenge, ministro per l'integrazione, concorda che una politica di inclusione degli immigrati porterebbe molti benefici anche alla cooperazione allo sviluppo, che potrebbe affidarsi alle competenze degli immigrati, coinvolgendoli direttamente nei progetti di aiuto internazionale.
ActionAid dedica un capitolo del rapporto anche alle
politiche energetiche, ponendo il problema della sostenibilità sociale, economica e ambientale dell'utilizzo dei biocarburanti. In particolare, viene denunciato il fenomeno del land grabbing, cioè l'acquisto di terreni destinati a biocarburanti che porta alla sottrazione di terra agli agricoltori locali.