«Un esempio di carità e di missionarietà». Il Papa beatifica 124 martiri coreani e li indica come esempio di una Chiesa in uscita, attenta agli altri, che si nutre dell'amore di Dio e opera per la giustizia. Una folla silenziosa, un milione di persone, assiepata sul lungo vialone alla porta di Gwanghhwamun, a Seoul, ascolta papa Francesco. Bergoglio, poco prima, aveva deposto una corona di fiori al Santuario dei martiri di Seo So-Mun che sorge sul luogo del martirio dei 103 cattolici coreani canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1984. Subito dopo la reghiera silenziosa è cominciata la messa per la beatificazione.
Parlando alla folla, che aspettava già dalla notte, il Papa ha ricordato l'esempio di Paul Yun Ji-Chung e dei suoi 123 compagni martiri. «I loro nomi si aggiungono a quelli dei Santi Martiri Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni, ai quali poc’anzi ho reso omaggio. Tutti vissero e morirono per Cristo ed ora regnano con Lui nella gioia e nella gloria. La vittoria dei martiri, la loro testimonianza resa alla potenza dell’amore di Dio continua a portare frutti anche oggi in Corea, nella Chiesa che riceve incremento dal loro sacrificio. La celebrazione del beato Paolo e dei suoi compagni ci offre l’opportunità di ritornare ai primi momenti, agli albori della Chiesa in Corea. Invita voi, cattolici coreani, a ricordare le grandi cose che Dio ha compiuto in questa terra e a custodire come tesoro il lascito di fede e di carità a voi affidato dai vostri antenati».
Il Papa sottolinea che la Corea, caso unico al mondo, non ha ricevuto
la fede attraverso i missionari, ma che la fede «fu stimolata dalla
curiosità intellettuale, dalla ricerca della verità religiosa. Attraverso
un iniziale incontro con il Vangelo, i primi cristiani coreani aprirono
le loro menti a Gesù. Volevano conoscere di più su questo Cristo che ha
sofferto, è morto ed è risorto dai morti. L’apprendere qualcosa su Gesù
condusse presto ad un incontro con il Signore stesso, ai primi
battesimi, al desiderio di una vita sacramentale ed ecclesiale piena, e
agli inizi di un impegno missionario».
In una società divisa in caste, i cristiani che si chiamano fra
loro «fratelli» e che, sull'esempio delle prime comunità, avevano ogni
cosa in comune, diventano un esempio che «porta frutti», spiega il Papa.
Che sottolinea l'importanza dei laici, sulla «dignità e la bellezza
della vocazione dei laici! I laici sono stati i primi ad accogliere il
Vangelo in Corea. Rivolgo il mio saluto ai tanti fedeli laici qui
presenti, in particolare alle famiglie cristiane che ogni giorno
mediante il loro esempio educano i giovani alla fede e all’amore
riconciliatore di Cristo». Il Papa ha poi salutato anche i sacerdoti
presenti che «trasmettono il ricco patrimonio di fede coltivato dalle
passate generazioni di cattolici coreani». Generazioni di martiri
che «ci indicano la strada». I martiri sapevano «il prezzo
dell’essere discepoli. Per molti ciò significò la persecuzione e, più
tardi, la fuga sulle montagne, dove formarono villaggi cattolici.
Erano disposti a grandi sacrifici e a lasciarsi spogliare di quanto li
potesse allontanare da Cristo: i beni e la terra, il prestigio e
l’onore, poiché sapevano che solo Cristo era il loro vero tesoro. Oggi
molto spesso sperimentiamo che la nostra fede viene messa alla prova dal
mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi
sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci
allo spirito del tempo. E tuttavia i martiri ci richiamano a mettere
Cristo al di sopra di tutto e a vedere tutto il resto in questo mondo in
relazione a Lui e al suo Regno eterno. Essi ci provocano a domandarci
se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire».
Ed è ancora la carità, il tema principale sul quale il Papa si sofferma. «L’esempio
dei martiri», spiega, «ci insegna l’importanza della carità nella vita
di fede. Fu la purezza della loro testimonianza a Cristo, manifestata
nell’accettazione dell’uguale dignità di tutti i battezzati, che li
condusse ad una forma di vita fraterna che sfidava le rigide strutture
sociali del loro tempo. Fu il loro rifiuto di dividere il duplice
comandamento dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo che li portò ad
una così grande sollecitudine per le necessità dei fratelli. Il loro
esempio ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad
immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà;
dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi».
E insieme con i 124 martiri beatificati, il Papa ricorda «gli innumerevoli martiri anonimi,
in questo Paese e nel resto del mondo, i quali, specie nell’ultimo
secolo, hanno offerto la propria vita per Cristo o hanno sofferto
pesanti persecuzioni a causa del suo nome. L’eredità dei martiri può
ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in
armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo
così alla pace e alla difesa dei valori autenticamente umani in questo
Paese e nel mondo intero».