Tagliati fuori. Non coinvolti. Sfiduciati nei confronti delle istituzioni italiane. Si sentono così i cittadini di origine straniera che vivono in Italia, né rappresentati adeguatamente né coinvolti nelle decisioni pubbliche, anche e soprattutto quelle che li riguardano.
Lo rileva una ricerca condotta da WeWorld, organizzazione impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne, bambine e bambini in 25 paesi del mondo, compresa l’Italia, nell’ambito del nuovo progetto SHAPE - SHaring Actions for the Participation and Empowerment of migrant communities and Local Authorities – finanziato da bando europeo AMIF (Transnational Actions on Asylum, Migration and Integration).
WeWorld, ha raccolto le opinioni di diverse persone con background migratorio sulle loro esperienze di partecipazione alla discussione pubblica e politica. Nell’indagine emerge un problema di fiducia verso le istituzioni italiane. La maggior degli intervistati dichiara di aver paura di accedere ai servizi locali e non crede che i propri bisogni possano trovare una risposta adeguata (ad esempio, in alcuni casi preferiscono tornare nei loro Paesi per motivi di salute).
È in questo contesto che nasce il progetto SHAPE che ha come obiettivo quello incentivare la partecipazione delle comunità migranti nei processi democratici e nell’ideazione e implementazione di politiche di integrazione a livello locale, nazionale e comunitario delle comunità migranti.
Un progetto europeo che si svolge in 3 diversi Stati di confine - ovvero Italia, Ungheria e Croazia, in cui l’opinione pubblica appare particolarmente negativa nei confronti dei migranti - in altri 2 Stati leader per quanto riguarda la partecipazione dei migranti al processo democratico, Germania e Portogallo.
Una delle questioni più sentite è il tema della cittadinanza (nel 2020 solo 131.803 persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana, a fronte di una popolazione straniera residente in Italia di circa 5 milioni di persone) e, collegato a questo, il diritto di voto. Tutto ciò non fa che aumentare la mancanza di fiducia nelle istituzioni italiane, come emerge dallo studio.
Un dato positivo è che le persone con background migratorio vivono la partecipazione civica soprattutto a livello locale, dove sentono che i loro bisogni primari sono valutati più da vicino. È proprio nelle forme meno convenzionali che la partecipazione vede maggiore fermento e vivacità.
“È necessario mettere le persone con background migratorio nelle condizioni di poter partecipare alla vita della comunità di cui fanno parte, coinvolgendoli nella discussione pubblica e nei processi decisionali”, spiega Elena Caneva, responsabile Centro Studi di WeWorld, “sono persone che vivono ormai in Italia da molti anni o vi sono nati, che partecipano attivamente alla vita economica e sociale del paese e che vorrebbero sentirsi parte a tutti gli effetti, esprimendo le proprio istanze in un dialogo e confronto diretto (e non mediato, come spesso accade) con le istituzioni”.