Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 07 ottobre 2024
 
 

La diversità non piace in azienda

28/01/2014  Diversity Management Lab di SDA Bocconi ha effettuato un'indagine presso 750 aziende per testarne la sensibilità sul tema della diversità: e i risultati non sono incoraggianti

Persone di mezza età, stranieri, disabili e omosessuali: sono ancora tante le fasce di popolazione svantaggiate nei processi di assunzione e di promozione da parte delle aziende, almeno è quello che risulta dalle 750 che sono state interpellate dal Diversity Management Lab di SDA Bocconi. Al campione è stato chiesto come ritengono si comportino le aziende sul diversity management a livello organizzativo: solo il 23% ha dichiarato che nella propria azienda è presente un sistema di pratiche per la gestione delle diversità, a fronte di un 30% che ne sottolinea la mancanza. «A questo proposito - spiega Stefano Basaglia che ha curato la ricerca insieme a Zenia Simonella - è da sottolineare anche un altro dato: il fatto che il 46% non sappia rispondere, a evidenza che, forse, c'è anche un problema di comunicazione interna circa le iniziative aziendali su questi temi». 

I ricercatori del Lab sono andati poi a verificare le opinioni circa l'equità dei percorsi di assunzione e di avanzamento di carriera. E qui risulta evidente la discriminazione percepita nei confronti di alcune caratteristiche sociali. Tra gli uomini, le probabilità di essere assunti è ritenuta maggiore se si è giovani (un valore medio di 6,06 in una scala da 1 a 7), mentre scende se si è stranieri (5,36), omosessuali (5,35), disabili (4,73) o anziani (3,53). Lo stesso vale per le donne che, peraltro, raggiungono valori in genere più bassi degli uomini, a parità di caratteristiche. Se la probabilità per le donne è 5,56, donne omosessuali o straniere oscillano intorno al 5,28, mentre per le donne anziane la probabilità crolla a 3,41.

Riguardo alla possibilità di avanzamenti di carriera, a parità di competenze, l'opinione dei rispondenti non cambia: uomini e donne anziani e disabili hanno meno chance di ottenere una promozione. Nel caso delle donne, inoltre, anche la presenza dei figli risulta svantaggiosa.

«Tanto per i processi di assunzione quanto per quelli di avanzamento di carriera emerge come vi siano determinate categorie sociali penalizzate e stigmatizzate all'interno della popolazione organizzativa - spiega Stefano Basaglia. «Non è vero quindi che le aziende utilizzino il merito per valorizzare il talento: i nostri dati dimostrano che il talento viene attribuito pregiudizialmente a certe categorie e caratteristiche sociali» - aggiunge Simona Cuomo, coordinatrice del Diversity Management Lab di SDA Boccini - «Le evidenze mosrtrano inoltre come, a livello organizzativo aziendale, manchino ancora ruoli, strutture e processi dedicati alla gestione delle diversità e come il management appaia poco impegnato su questi temi».

Un altro aspetto sondato dallo studio riguarda la gestione del bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, tema sempre più importante nella gestione della popolazione organizzativa. Ciò che risulta è che le pratiche attuate dalle imprese su questo versante sono ancora ferme a una visione tradizionale. Le due pratiche considerate più presenti sono il part time (4,62 su 7) e la flessibilità sugli orari di ingresso e uscita (4,69). Telelavoro (2,72), job-sharing (2,38), forme di flessibilità personalizzate (3,06) non paiono ancora far parte del linguaggio aziendale.

«Il lavoro agile, ossia l'insieme di queste pratiche di flessibilità lavorativa, è un potente strumento di gestione della nuova popolazione organizzative delle aziende - conclude Simona Cuomo - Purché però si superino gli stereotipi che caratterizzano ancora oggi il lavoro, ossia un tempo e un luogo fisso per il suo svolgimento. Le imprese italiane, da questo punto di vista, sono ancora molto indietro».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo