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lunedì 14 ottobre 2024
 
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Loro fanno la guerra, noi paghiamo il conto

30/07/2014  Padre Jorge Hernandez, argentino, da 5 anni è parroco nella Striscia. Ci racconta la sua giornata, tra preghiera e assistenza a sfollati e feriti. Al telefono si fatica a parlare: ronzano i droni, scoppiano gli ordigni. Intanto l'offensiva di Israele sul sobborgo Sajaya ha provocato solo nella mattinata del 20 luglio altri 60 morti palestinesi.

La telefonata è interrotta in continuazione dal fragore delle bombe. In sottofondo si sente il ronzio sordo dei droni. Padre Jorge Hernandez, argentino, parroco a Gaza da cinque anni, ha la voce stanca. «Da ieri siamo senza elettricità. Sai, cominciano a mancare le cose essenziali. Una è la luce. Tu dici: però, si può vivere lo stesso. Sì, è vero. Ma gli ospedali, se non hai l’elettricità…».

Mentre parla, si susseguono le deflagrazioni. L’ultimo shock: veder colpito l’ospedale Al-Aqsa. «Le bombe cadono a pochi metri», dice. «Israele sostiene, e in parte ha ragione, che le persone vengono usate come scudi umani. In effetti, i depositi delle armi sono fra le case. Ieri hanno bombardato qui vicino, alla porta della parrocchia. Non è rimasto niente della casa, e le schegge sono arrivate fino a noi».

- Di notte riuscite a dormire?
«Con questo rumore, come fai? Vai a dormire quando sei vinto dal sonno».

- Come vi procurate il necessario?
«Si esce il meno possibile, giusto per fare una piccola spesa o per dare conforto a qualcuno. Quando c’è stata la tregua umanitaria ho approfittato per visitare qualche famiglia. Oggi alcune famiglie ci hanno chiesto accoglienza nelle nostre due scuole, pur essendoci i bombardamenti ho portato un po’ d’acqua e viveri per questi giorni».

- Quante persone sta ospitando?
«Una cinquantina. Provenienti dalla zona nord, la più distrutta. La maggioranza dei miliziani è là, ed è anche l’area da dove partono più razzi. In realtà, li sparano un po’ dappertutto. Vengono anche vicino alla parrocchia. Lanciano e vanno via. E Israele risponde bombardando il luogo di partenza del missile».

- I razzi con che frequenza partono?
«Ci sono momenti in cui sono tanti, anche 20 di seguito. Stasera due, l’altro ieri 50. La gente non è d’accordo. Tutti dicono la stessa cosa: c’è chi fa la guerra, e noi paghiamo il conto». Cosa manca di più? «L’acqua. Non ce n’è. Noi abbiamo un pozzo e quando possiamo attiviamo la pompa per fare scorta. Così la gente viene a prenderne una tanica».

LA MESSA TRA I BOATI

- Com’è la sua giornata?
«Sono andato a dormire verso le 5 del mattino, fino alle 8. Poi sono andato a trovare alcune famiglie. A mezzogiorno abbiamo celebrato la Messa, seguita dall’adorazione eucaristica. Il tutto sotto i bombardamenti, che non hanno mai smesso. Nel pomeriggio ho provato a dormire un po’, ho studiato, ho telefonato ad alcune persone, fra cui la mia mamma in Argentina. Lei è preoccupata. Sai, vede le notizie. È la mia seconda guerra vissuta a Gaza. Nel novembre 2012 ero qui. Mi domando qual è lo scopo di tutto ciò. Senti? Sono le sirene dell’ambulanza, ci sono dei feriti».

- Quanti sono i cristiani?
«Circa 1.200, di cui 130 cattolici. Una piccola comunità, 46 famiglie. Collaboriamo e ci aiutiamo con gli altri cristiani e anche con i musulmani. Vedi, i cristiani oltre a soffrire per la guerra hanno paura della reazione degli estremisti islamici. C’è un detto argentino che dice: “Alla fine pagheremo noi il piatto rotto”. La tensione contro i cristiani cresce. È solo questione di tempo. Le parole di papa Francesco sono state importanti. Vorrei anche dire grazie a chi ci dà un segno di vicinanza, con la preghiera, una telefonata, un messaggio. Ci danno un grande conforto. Pregate per noi».

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