La telefonata è interrotta in continuazione
dal fragore delle
bombe. In sottofondo si sente
il ronzio sordo dei droni. Padre
Jorge Hernandez, argentino,
parroco a Gaza da cinque
anni, ha la voce stanca. «Da ieri
siamo senza elettricità. Sai,
cominciano a mancare le cose essenziali.
Una è la luce. Tu dici: però, si può vivere
lo stesso. Sì, è vero. Ma gli ospedali,
se non hai l’elettricità…».
Mentre parla, si susseguono le deflagrazioni.
L’ultimo shock: veder colpito
l’ospedale Al-Aqsa. «Le bombe cadono a
pochi metri», dice. «Israele sostiene, e in
parte ha ragione, che le persone vengono
usate come scudi umani. In effetti, i depositi
delle armi sono fra le case. Ieri hanno
bombardato qui vicino, alla porta della
parrocchia. Non è rimasto niente della casa,
e le schegge sono arrivate fino a noi».
- Di notte riuscite a dormire?
«Con questo rumore, come fai? Vai
a dormire quando sei vinto dal sonno».
- Come vi procurate il necessario?
«Si esce il meno possibile, giusto per
fare una piccola spesa o per dare conforto
a qualcuno. Quando c’è stata la tregua
umanitaria ho approfittato per visitare
qualche famiglia. Oggi alcune famiglie
ci hanno chiesto accoglienza nelle
nostre due scuole, pur essendoci i bombardamenti
ho portato un po’ d’acqua e
viveri per questi giorni».
- Quante persone sta ospitando?
«Una cinquantina. Provenienti dalla
zona nord, la più distrutta. La maggioranza
dei miliziani è là, ed è anche l’area
da dove partono più razzi. In realtà, li
sparano un po’ dappertutto. Vengono
anche vicino alla parrocchia. Lanciano e
vanno via. E Israele risponde bombardando
il luogo di partenza del missile».
- I razzi con che frequenza partono?
«Ci sono momenti in cui sono tanti,
anche 20 di seguito. Stasera due, l’altro
ieri 50. La gente non è d’accordo. Tutti
dicono la stessa cosa: c’è chi fa la guerra,
e noi paghiamo il conto».
Cosa manca di più?
«L’acqua. Non ce n’è. Noi abbiamo
un pozzo e quando possiamo attiviamo
la pompa per fare scorta. Così la gente
viene a prenderne una tanica».
LA MESSA TRA I BOATI
- Com’è la sua giornata?
«Sono andato a dormire verso le 5
del mattino, fino alle 8. Poi sono andato
a trovare alcune famiglie. A mezzogiorno
abbiamo celebrato la Messa, seguita
dall’adorazione eucaristica. Il tutto sotto
i bombardamenti, che non hanno
mai smesso. Nel pomeriggio ho provato
a dormire un po’, ho studiato, ho telefonato
ad alcune persone, fra cui la mia
mamma in Argentina. Lei è preoccupata.
Sai, vede le notizie. È la mia seconda
guerra vissuta a Gaza. Nel novembre
2012 ero qui. Mi domando qual è lo scopo di tutto ciò. Senti? Sono le sirene
dell’ambulanza, ci sono dei feriti».
- Quanti sono i cristiani?
«Circa 1.200, di cui 130 cattolici. Una
piccola comunità, 46 famiglie. Collaboriamo
e ci aiutiamo con gli altri cristiani
e anche con i musulmani. Vedi, i cristiani
oltre a soffrire per la guerra hanno
paura della reazione degli estremisti
islamici. C’è un detto argentino che dice:
“Alla fine pagheremo noi il piatto rotto”.
La tensione contro i cristiani cresce.
È solo questione di tempo. Le parole di
papa Francesco sono state importanti.
Vorrei anche dire grazie a chi ci dà un segno
di vicinanza, con la preghiera, una
telefonata, un messaggio. Ci danno un
grande conforto. Pregate per noi».