Se
pensate al luogo simbolo dei traffici dei rifiuti, scordatevi Casal
di Principe. Con la mente andate molto più a Nord,
nel cuore della Toscana, nella zona della Lunigiana. Tra la bella
Viareggio e il porto di Marina di Carrara. Passando per Pietrasanta.
Qui batte il cuore del business criminale dei veleni.
Prima della
desecretazione delle carte allegate all’audizione del 1997 di
Carmine Schiavone, già era ben conosciuto il ruolo strategico di
questo pezzo d'Italia
del Centro-nord. Due le inchieste che l’hanno colpita in pieno, Re
Mida e Cassiopea. Due sconfitte per la giustizia italiana, finite con
prescrizioni arrivate al termine di iter giudiziari tortuosi e
perdenti.
Il
7 ottobre del 1997 Carmine Schiavone si presenta davanti alla
Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti presieduta da
Massimo Scalia. Parla a lungo, probabilmente per ore (la trascrizione
stenografica occupa 42 pagine). Con sè ha alcuni documenti, pezzi
chiave per supportare il suo racconto.
Il primo è su carta intestata
della presidenza della Provincia di Massa Carrara, all’epoca retta
dal socialista Ermanno Di Casale. Autorizza la società Masan srl di
Massa ad inviare i rifiuti speciali prodotti dalle tante industrie
toscane – incluse le concerie – verso la Campania. L’allegato
di tre pagine è il lungo elenco di targhe e di nomi di
trasportatori, quasi un centinaio: Caserta, Latina e Roma sono le tre
provincie più presenti. «Tra quei camion c’è anche uno dei miei
automezzi», rivela oggi Carmine Schiavone.
«È
l’inizio del grande traffico di rifiuti dal Nord verso il Sud,
veleni che finiranno in buona parte in discariche messe su alla
buona, senza protezioni ambientali o in cave svuotate per estrarre la
sabbia destinata alle grandi opere del Sud.
«Noi
appena tocchiamo la monnezza la facciamo diventare oro», diceva il
Re Mida dei rifiuti Luigi Cardiello in una telefonata intercettata
dal Reparto ambientale dei carabinieri.
Un nome da annotare, questo.
Originario di Salerno, vive da decenni nella Versilia, operando con
alcune società con sede legale a Pietrasanta. Cardiello è amico –
e coimputato in un’inchiesta nata nel 2004 a Rieti – di un altro
imprenditore molto noto in Toscana, Massimo Dami. È
lui il titolare della Masan, la società citata nei documenti
allegati all’audizione desecretata di Carmine Schiavone. Legato
all’ambiente politico dei socialisti (è finito recentemente in una
inchiesta giudiziaria sul suo ruolo di vertice nella fondazione
Turati di Pistoia), oggi cinquantatreenne, ha proseguito senza grandi
problemi la sua attività nei “servizi ambientali”.
L’unico
vero intoppo è arrivato quando la Masan, una decina di anni fa, si è
presentata a Rieti per gestire un’attività di compostaggio. Lo ha
potuto fare senza creare allarme, visto che nulla appariva negli
archivi. Racconta il presidente della Provincia di Rieti Mario
Perilli, davanti alla commissione rifiuti il 21 luglio 2004: «Per
quanto riguarda la questione dei requisiti, ho con me una nota della
Polizia provinciale dell'11 febbraio 2004, in cui il responsabile
attesta di aver controllato il casellario giudiziario del tribunale e
di non aver riscontrato elementi ostativi nei confronti del signor
Dami Massimo rispetto ai requisiti per poter svolgere questo tipo di
attività».
Sarebbe bastato che quella stessa Commissione attiva nel
2004 estraesse dagli archivi il racconto di Carmine Schiavone del
1997. C’era un segreto che i parlamentari avrebbero potuto
togliere, bloccando i traffici di quella società che negli anni
Ottanta lavorava con i Casalesi.
A Rieti – dove il titolare della
Masan Dami è stato alla fine condannato in primo grado a quattro
anni di reclusione, pena poi decaduta per prescrizione durante
l’appello – l’attività di quella società avrebbe provocato,
secondo la Procura, un «danno ambientale rilevante». Ha spiegato il
Pm Cristina Cambi, durante la requisitoria: «I rifiuti che venivano
introdotti da autotrasportatori compiacenti all’interno della
Masan, non venivano lavorati e, invece di restare tre mesi per essere
sottoposti al trattamento, riuscivano quasi subito, mischiati a
quelli prodotti dall’azienda e destinati a realizzare il
fertilizzante».
E oggi gli affari dei soci della Masan sono tornati
al Sud, nella zona di Venafro. Tutto regolare, ovviamente. Business
as usual.
I
processi andati a buon fine contro i produttori e i broker dei
rifiuti del Nord si contano sulle dita di una sola mano. Mancando il
reato di partecipazione a una associazione mafiosa, i crimini
ambientali hanno tempi di prescrizione brevissimi.
Gran parte dei
trasportatori indicati da Carmine Schiavone non hanno subito nessuna
conseguenza e alcuni di loro hanno proseguito senza grandi problemi
la loro attività. È
difficile ricordare anche solo un nome di una delle tante aziende
chimiche italiane che hanno sversato le scorie pericolose finita poi
in una sentenza di condanna. La faccia ancora nascosta di Gomorra.