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venerdì 08 novembre 2024
 
 

La fede illumina l'oscurità della vita

11/09/2013  La Lumen fidei, un’opera scritta a quattro mani dagli ultimi due Pontefici. Dio non è morto, anzi rischiara la città terrena. La dimensione personale del credere e quella sociale.

Il “gran lavoro” di Benedetto XVI porta il sigillo della firma di Francesco.
Dunque, dicono il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei vescovi, monsignor Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede e monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, si «può parlare di enciclica a quattro mani ». Insomma la firma è una sola, ma il magistero della Lumen fidei, 96 pagine, quattro capitoli più tre paragrafi di introduzione, è di due Papi.

Alla conferenza stampa di presentazione, Ouellet ha spiegato: «Alla trilogia di Benedetto XVI mancava un pilastro e la Provvidenza ha voluto che il pilastro fosse un dono del Papa emerito al suo successore e nello stesso tempo un simbolo di unità». L’enciclica è «un ponte», ha titolato il suo commento il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian. L’enciclica è il testimone della staffetta che un Papa passa all’altro, «come avviene negli stadi», ha sorriso Ouellet. L’omaggio di Jorge Mario Bergoglio a Joseph Ratzinger si può leggere verso la fine del terzo paragrafo dell’introduzione, dove spiega che queste «considerazioni sulla fede» intendono «aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza ». Bergoglio rivela che Papa Benedetto aveva «già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede »: «Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi».

Nell’enciclica c’è molto di Benedetto e molto di Francesco. L’impronta del Papa teologo si sente soprattutto nelle pagine centrali, quella di papa Francesco nella trattazione delle indicazioni più decisamente pastorali che orientano l’impegno dei cristiani e poi in quell’appello finale: «Non facciamoci  rubare la speranza», concetto che ha ripetuto più volte in questi mesi di pontificato, rivolgendosi soprattutto ai giovani.
La spiegazione della narrazione teologica dell’enciclica l’ha fatta monsignor Gerhard Müller, non da molto al posto che fu di Ratzinger all’ex Sant’Uffizio: «La voce profetica di critica e di denuncia deve essere sempre libera di alzarsi, ma la verità è una ricerca compiuta insieme e quindi la fede è la grande risorsa della Chiesa “portatrice storica dello sguardo planetario di Cristo sul mondo”, come scrive Francesco citando Romano Guardini, grande teologo caro a entrambi i Papi».

 
 
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