Si è fermato tutto. Anche se tutto comunque sta andando avanti. Siamo chiusi in casa, ma siamo costantemente connessi col mondo. Non possiamo toccare i nostri parenti, ma li possiamo sentire e vedere tramite videochiamata. Siamo barricati. Il mondo là fuori lo vediamo dai vetri della finestra o attraverso gli schermi delle nostre TV e di tutti gli strumenti elettronici di cui ci siamo dotati.
Per le famiglie credenti, anche l’esperienza religiosa si deve trasferire dai luoghi fisici a quelli virtuali. Forse mai come in queste settimane abbiamo sentito quanto importante era quel “precetto” e quel “dovere”. Prima si doveva andare a Messa. E molti sbuffavano. Ora non si può. E improvvisamente ne sentiamo la mancanza. Perché in quell’ora domenicale non si mette in gioco solo il rispetto di un obbligo. C’è anche una parte, vera e profonda di noi, che sente il proprio limite, che si appoggia a qualcosa che è più grande e certo della nostra finitezza e della nostra vulnerabilità. Nella fede non troviamo solo un appiglio cui aggrapparci quando si precipita. Ma vediamo anche un senso e una direzione cui ispirarci nel nostro quotidiano. Una direzione e un senso che sono ancora più importanti quando l’unica direzione che abbiamo è perimetrata dai confini della nostra abitazione. E’ quando il mondo si fa piccolo e confinato che improvvisamente sgorga dentro di noi un bisogno assoluto e inevitabile di infinito.
I nostri bambini in queste settimane ci guardano. Guardano un mondo allo sbando che ha perso le sue routine, le sue abitudini, i suoi riferimenti. E anche rispetto alla loro dimensione spirituale e religiosa si sentono spesso sguarniti. Forse anche abbandonati, nel caso in cui le loro figure di riferimento, come sacerdoti, catechisti ed educatori dell’oratorio non si siano premurati di inviare loro dei messaggi, dei brevi video, degli inviti a stare uniti in uno spazio virtuale, dove continuare a rimanere parte di una comunità viva, fervente, che sa sostenersi e prendersi per mano. Tutti i catechismi sono interrotti, al pari della scuola. Ed è importante che le figure educative che settimanalmente incontravano i più piccoli sappiano raggiungerli e tenersi in contatto attraverso messaggi vocali o video da inviare su un numero di telefono degli adulti di riferimento.
E la domenica? Molte famiglie non sanno se ha senso, oppure no, seguire insieme una celebrazione liturgica in casa, attraverso lo schermo televisivo oppure la voce della radio. La sfida non è da poco. Ma credo che la famiglia possa davvero provare a vivere questo momento tra le pareti domestiche come un momento di condivisione e di fede. Per i bambini sarà bello e importante vedere mamma e papà che dedicano un’ora (più o meno) del giorno di festa per partecipare tutti insieme, tutti uniti ad un rito che ci aiuta a dare senso a tutto, a farci alzare lo sguardo, ma soprattutto a sentirci connessi con qualcosa che va al di là dei molti limiti e confini del momento. Credo che come genitori, continuare a testimoniare ai nostri figli la bellezza, l’entusiasmo e il coraggio che ci provengono dall’aderire al rito della messa domenicale (con tutti gli inciampi, i limiti e le ristrettezze imposte dalla sua dimensione virtuale) sia uno dei doni più belli che possiamo fare loro in questo momento di crisi. Un dono che ha dentro tanti messaggi: speranza, senso di affidamento. Ma anche fedeltà: resto fedele a qualcosa che dà senso e impreziosisce la mia vita. Perché ciò che ci terrà vivi e sani in queste settimane, oltre alla prevenzione del contagio, sarà la nostra capacità di rimanere attaccati a ciò che conta, imparando a fare a meno di ciò che invece era soltanto superfluo.