Gianfranco Cattai. In alto: bambini in un campo profughi ad Erbil (foto Reuters).
«Se
dietro all'uccisione di Cesare Tavella, il cooperante italiano
assassinato in Bangladesh, ci fosse la mano dell'Isis, sarebbe un
precedente allarmante, perché finora il Paese non dava elementi di
preoccupazione». Parla Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, la
Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario. Fermo restando, ovviamente, il dolore per la tragedia
(«conosciamo bene la comunità
di Bagnacavallo (Ravenna), il paese d'origine del cooperante»)
secondo Cattai è necessario prima di tutto stabilire se l'omicidio
sia riconducibile al Califfato o se si sia trattato di un tragico esempio di insicurezza urbana. «Questi elementi sono fondamentali per
valutare il livello di rischio, che potrebbe non essere esteso
all'intero Stato ma circoscritto ad alcune aree».
L'omicidio
di Tavella è l'ultimo episodio di un'inquietante catena di violenze,
che impone una riflessione sul destino dei volontari nel mondo. «Di
sicuro c'è un clima di tensione che implica minor sicurezza, ma
questo vale per tutti, non solo per i cooperanti in prima linea. E va
osservato che l'insicurezza percepita a livello globale è nettamente
superiore rispetto alla situazione reale dei singoli Paesi in cui
operiamo».
In
oltre quarant'anni di impegno, grazie al contributo di 73
organizzazioni, la Focsiv ha formato più di 20.000 volontari.
Attualmente sono un migliaio quelli attivi negli 80 Paesi con cui la
Federazione ha contatti. «Non mandiamo nessuno allo sbaraglio»
assicura il Presidente «Abbiamo contatti costanti con la Farnesina e
fonti locali per i Paesi dove non è presente una rappresentanza
diplomatica italiana. Possiamo contare su reti di relazioni
collaudate e affidabili, che ci consentono di valutare, caso per
caso, i livelli di rischio. E siamo estremamente prudenti prima di
inviare i nostri volontari».
«Ci
sono alcune zone» prosegue Cattai «in cui gli organismi Focsiv non
operano più direttamente, a causa della forte instabilità e dei
rischi connessi. E' il caso della Somalia e di alcune aree del Mali.
In questi contesti si cerca di intervenire a distanza». Ma ci sono
anche territori dove i volontari sono tuttora presenti, nonostante
tensioni e violenze. Un esempio: il Kurdistan. «Siamo a Erbil e
Kirkuk: due casi limite, con i miliziani Isis a pochi chilometri. La
cittadinanza è esposta a gravi pericoli: mancano acqua e cibo. E'
una situazione di emergenza che non ci sentiamo di abbandonare».
Azioni di questo genere sono riservate solo a chi abbia già grande
esperienza: «Di solito i volontari che partono sono cittadini
italo-curdi, che conoscono bene la zona e hanno fiuto sufficiente per
valutare la situazione. Anche i tempi di permanenza sono brevi,
proprio per evitare un'eccessiva esposizione».
Situazione analoga in
alcune regioni del Mozambico e aree del Sahel dove grava la minaccia
di Al-Qaida.
Che
si tratti di insicurezza reale o percepita, i timori legati al
volontariato internazionale sono comprensibili. Ma c'è anche chi non
si lascia scoraggiare: 500 giovani del Servizio Civile si stanno
preparando per partire, grazie ai progetti di cooperazione degli
organismi Focsiv. «Chiaramente in questo caso le cautele sono quanto
mai elevate: i ragazzi opereranno in luoghi protetti e avranno tutte
le garanzie necessarie».