Quel camion bianco sul lungomare di Nizza, che ha falciato decine di persone inermi, tra cui tantissimi bambini, zigzagando all’impazzata tra la folla in festa, ha anche falciato la speranza di un intero Paese: quella di tornare presto alla “normalità”.
Stamattina la Francia si risveglia di nuovo sotto attacco, sotto l’assedio del terrore jihadista. E’ il terzo attentato che insanguina il Paese nel giro di un solo anno e mezzo. Il 7 gennaio 2015 i terroristi di Al Qaeda facendo irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi, uccidono 12 persone e ne feriscono altre 11. Il 13 novembre un commando armato, in contemporanea, assalta il teatro Bataclan, lo Stade De France e tre locali della capitale. E’ una carneficina: restano uccise 130 persone. Stavolta è diversa la città, Nizza, e le modalità, un camion con un conducente armato di pistola che investe i passanti e spara loro dall’abitacolo del suo tir. Ma identica è la follia omicida.
L’attentatore, un francese di origine tunisina, residente a Nizza, con precedenti per piccoli reati comuni, ma non segnalato per una radicalizzazione islamica, ha portato a termine il suo piano stragista lungo la Promenade Des Anglais della città transalpina, non in un giorno qualsiasi: il 14 luglio è si celebra la festa più cara ai francesi. Le 14 Juillet, dal 1880, la Francia si ferma per festeggiare la presa della Bastiglia, l’evento che diede il via alla Rivoluzione francese. Il giorno in cui, per eccellenza, si riaffermano i valori dell’uguaglianza, della fraternità e della libertà. E l’attacco terroristico sembra davvero anche un attacco a quei valori fondanti la democrazia transalpina.
Ma il 14 luglio non era soltanto una festa di popolo, ma il giorno in cui il presidente francese Hollande avrebbe dovuto annunciare la fine dello stato d’emergenza, deciso in seguito agli ultimi attentati terroristici. Passati indenni i giorni degli Europei di calcio, il Paese aveva tirato un grande sospiro di sollievo: niente attentati, niente morti, nonostante i proclami dell’Isis. Evidentemente il dispiego delle forse dell’ordine e i sistemi di sicurezza avevano funzionato. “Dobbiamo tornare alla normalità” era stato l’auspicio del leader socialista. Un auspicio travolto, stanotte, da quel camion bianco che si abbatteva sui passanti.
Subito dopo la strage il presidente ha dovuto fare un doloroso “dietro front” e comunicare che lo stato d’emergenza sarebbe stato prolungato per altri tre mesi. E ha addirittura fatto appello ai riservisti di presentarsi per aiutare la gendarmeria e i corpi di polizia. “tutta la Francia è colpita –ha aggiunto – ma la Francia non si piegherà”. Insomma la via della pace e della normalità è ancora lunga. La Francia si sente un Paese in guerra contro un nemico infido, che vive al suo interno, generato dentro le sue città, i suoi cittadini.
Ma dichiarare guerra all’Isis e al terrorismo islamico, richiamare i riservisti, potenziare i controlli ai confini, pattugliare le strade delle grandi città, può solo rassicurare per il momento chi si sente impaurito, spaesato. La realtà è che questa guerra “dichiarata” è diversa da quelle precedenti. Anche da quella organizzata contro Bin Laden. Lo stesso attentatore, almeno ad ora, non sembra avere avuto collegamenti forti con le organizzazioni del terrore, né con “cellule dormienti”. Sembra essere sempre più lo “jihadista della porta accanto”, descritto da Fouad Allam, ma ancor meno jihadista e più ancora “della porta accanto”. La Francia è in guerra? Ma contro di chi? La guerra è sempre più “guerra civile” come qualcuno ha teorizzato. Dove il nemico si può annida e radicalizza nei quartieri dormitori delle metropoli, come in ristretti circoli politici, ma anche in qualsiasi altro luogo dove, casualmente, si cortocircuitino follia e odio individuali con reti terroristiche sottotraccia, ma anche solo poche parole d'ordine trovate in internet. Che strategie belliche si possono adottare contro chi sale su un tir e in una notte di festa si getta sulla folla che passeggia?