Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
martedì 05 novembre 2024
 
Il libro
 

La generazione dei “Diciottenni senza confini”

28/10/2015  Anna Granata, docente di Pedagogia all’Università di Torino, conia la definizione di “nativi interculturali”. Nel suo libro spiega che i nostri giovani non crescono più solo a pane e tecnologia, ma fin da piccoli vivono amicizie plurali, immersi nel multiculturalismo quotidiano: gli occhi a mandorla del compagno di classe o il velo indossato dalla vicina di banco sono dettagli rispetto alla relazione che instaurano tra di loro. Secondo la ricercatrice «questo è il capitale interculturale d’Italia».

Gabriele frequenta l’ultimo anno di liceo a Milano, ma è appena tornato da un anno a Mosca: ha imparato il russo e ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire sentirsi straniero. Nura è bresciana da sempre, ma parla arabo in casa e italiano a scuola, e passa le sue vacanze estive dai nonni in Egitto. Giulia abita a Varese, la sua migliore amica si chiama Xiao, e nel tempo libero studia tedesco per costruirsi un futuro da ricercatrice in Germania.

Nel 2001 Mark Prensky inventò la fortunata espressione “nativi digitali”. Con il testo “Diciottenni senza confini” pubblicato da Carocci, Anna Granata, docente di Pedagogia all’Università di Torino, conia la definizione di “nativi interculturali”. I nostri giovani non crescono più solo a pane e tecnologia, ma fin da piccoli vivono amicizie plurali, immersi in contesti di multiculturalismo quotidiano. Per loro gli occhi a mandorla del compagno di classe o il velo indossato dalla vicina di banco sono dettagli che passano in secondo piano rispetto alla relazione che instaurano tra di loro. Secondo la ricercatrice «questo è il capitale interculturale d’Italia»


La ricerca, svolta in collaborazione con il Centro di ricerca sulle relazioni interculturali dell’Università Cattolica di Milano, è stata finanziata da Intercultura, l’associazione che da sessant’anni affianca gli studenti italiani che decidono di trascorrere il quarto anno all’estero, dal Giappone agli Usa, da Panama alla Cina. “Diciottenni senza confini” racconta le loro esperienze internazionali, paragonate a quelle interculturali di altri due gruppi di neomaggiorenni, tutti frequentanti licei del Settentrione. Da un lato i “nuovi italiani”, coetanei di origine straniera che vivono la diversità nel proprio contesto di vita, con genitori legati al paese d’origine e amicizie radicate in Italia. Dall’altro, giovani di origine italiana, che vivono incontri interculturali ogni giorno. Come Alice, che partecipa alla festa filippina per il diciottesimo di una compagna.

Anna Granata sottolinea due aspetti della ricerca che già descrivono la generazione. «È stato molto più facile ottenere la disponibilità dei ragazzi in Rete, piuttosto che incontrarli di persona. Le interviste sono avvenute via Skype, in “un faccia a faccia” virtuale dalla tranquillità della propria camera. Del resto, oggi difficilmente i diciottenni hanno amicizie esclusivamente dentro una rete territoriale ristretta e sono abituati a mantenere relazioni importanti tramite il Web, anche in luoghi lontani».

Infine – nota la ricercatrice – «emerge una difficoltà a distinguere in modo netto i ragazzi rispetto ai tre gruppi dell’indagine. Milagros è stata un anno in Tailandia, ma è figlia di cubani. Mi era stata segnalata da una coetanea, anche lei intervistata, perché andata un anno all’estero. L’origine è emersa solo durante l’intervista; la sua amica non me ne aveva parlato, non lo riteneva un dato rilevante». Spesso sono ragazzi a cui «non bastano due parole per rispondere alla domanda da dove vieni», per dirlo con le parole di Beto, figlio di genitori nati in Italia ma con un nonno che fu calciatore del Napoli, immigrato dal Brasile cinquant’anni fa.


Anna Granata, l'autrice di "Diciottenni senza confini".
Anna Granata, l'autrice di "Diciottenni senza confini".

Dal testo emerge che la vera differenza è solo linguistica, quella territoriale non conta. I diciottenni sono allergici ai confini, categorie antiquate per distinguere persone ma anche ostacoli alla mobilità, considerata fattore indiscusso di realizzazione professionale e personale. Vale per sé come per chi arriva in Italia. Molti dei giovani, discutendo di immigrazione, sono andati “fuori tema”, direbbe qualche insegnante, parlando della loro possibile emigrazione altrove.

Alice dice: «Io me ne andrò, perché non c’è futuro in questo Paese. E siccome io faccio questo ragionamento posso capire che altri lo abbiano fatto per decidere di venire qua». Per lei il futuro è la possibilità di ricerca medica nel Nord Europa. E Tobia aggiunge: «Questo dovere di stare in Italia non lo sento... anche se lo sento il mio Paese».

Anna Granata accosta le competenze di “internazionalità”, intese come la capacità di relazionarsi con altri fuori dal proprio contesto, e di “intercultura”, cioè la capacità di relazionarsi con altri all’interno del proprio contesto. Sono esperienze normali nel vissuto dei nativi interculturali, fanno parte del loro capitale interculturale.

Eppure esperienze di questo tipo (anche il solo racconto dell’anno all’estero) faticano a trovare spazio a scuola. Non vengono valorizzate, sono «perdite di tempo». Per la docente dell’Università di Torino «è un esempio della separazione tra scuola e vita che don Lorenzo Milani denunciava già nel 1967». Da Barbiana il sacerdote insegnava ai figli degli operai e dei contadini a leggere e scrivere, ma il suo non era solo un percorso di alfabetizzazione di base: portava ogni giorno in classe i quotidiani, mandava alcuni studenti all’estero a imparare il francese, con l’impegno a scrivere almeno due lettere a settimana ai propri compagni per descrivere la nuova società che stavano conoscendo. Insomma, apriva le menti al mondo. Andando a volte anche “fuori programma!”. 

Anna Granata, “Diciottenni senza confini. Il capitale interculturale d’Italia”, Carocci editore, 2015.

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo