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giovedì 14 novembre 2024
 
Sondaggio in 27 Paesi
 

«La gente non vuole i migranti»: falso

08/06/2016  La smentita arriva dal sondaggio di GlobeScan, agenzia internazionale di consulenza strategica, che ha coinvolto 27 mila persone nel 2016 in 27 nazioni del mondo: otto in Europa (non c’è l’Italia), altrettante in Asia, sei in America, quattro in Africa e uno in Oceania.

I risultati sono stati diffusi da Amnesty International: l’80% degli intervistati dice che accetterebbe rifugiati nei confini nazionali, il 47% nella propria città, il 32% nel quartiere. Una persona su dieci ne accoglierebbe uno in casa.

In 20 delle 27 nazioni, oltre il 75% dei cittadini ha risposto che farebbe entrare i rifugiati nel Paese. Insomma, il risultato è chiaro: le persone sono estremamente disposte a dare il benvenuto ai profughi e la retorica anti-rifugiati dei governi contrasta con gli orientamenti dell’opinione pubblica.

(Foto di Unhcr/Caux. In copertina: foto Caritas/Presevo)
(Foto di Unhcr/Caux. In copertina: foto Caritas/Presevo)

Cina, Germania e Regno Unito sono ai primi posti del “Refugee Welcome Index”, ovvero emergono come i più accoglienti, mentre Russia, Indonesia e Thailandia sono in fondo alla classifica. Spiegano da Amnesty: “Il 46% delle persone intervistate in Cina è disposta ad accogliere rifugiati nella sua abitazione; oltre la metà del campione in Germania (56%) li accoglierebbe nel suo quartiere e il 10% nella propria abitazione. Quasi tutti i tedeschi (96%) ospiterebbero i profughi nel loro Paese e solo il 3% rifiuterebbe loro l’ingresso.

Il fatto che una nazione abbia già accolto grandi numeri non implica la chiusura xenofoba: Grecia e Giordania sono nei primi dieci posti del sondaggio e non mostrano flessioni negli ultimi mesi.

L’Unhcr calcola che siamo nel momento storico con il più alto numero di rifugiati dalla fine della Seconda guerra mondiale. Oltre 60 milioni in fuga da conflitti, dittature e persecuzioni. Eppure il sondaggio di GlobeScan conferma che le persone non mettono in discussione l’idea della protezione internazionale, sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Anzi, chiedono maggiore impegno ai governi: il 73% è favorevole all’istituto dell’asilo politico, il 66% ritiene che il rispettivo governo dovrebbe fare di più per aiutare i rifugiati.

Commenta Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International: «Non ci aspettavamo un così alto livello di solidarietà verso i rifugiati. I risultati del sondaggio riflettono la compassione umana che le persone provano verso chi fugge dalla guerra. Vogliono fare tutto ciò che possono per dare una mano e non girare le spalle: gli esponenti politici dovrebbero mostrare uguale ispirazione».

Per rispondere alla crisi globale dei rifugiati, Amnesty International sta chiedendo di reinsediare 1.200.000 rifugiati entro la fine del 2017: un numero ben superiore ai 100.000 reinsediamenti all’anno cui si sono impegnati finora i governi. L’86% dei rifugiati è attualmente accolto dai Paesi più poveri (il record è in Etiopia e Pakistan), mentre «quelli più ricchi», secondo l’Ong, «rinnegano le loro responsabilità».

Quanto agli europei, il sentimento solidale è maggioritario, ma la disorganizzazione delle politiche crea confusione e non facilita l’essere a favore dell’accoglienza. Il giusto principio della redistribuzione nel Continente degli sbarcati in Grecia e Italia è emblematico. Per mesi se ne è discusso in lunghi vertici ed estenuanti riunioni fino a decidere, nel settembre 2015, il ricollocamento in altre nazioni europee di 160 mila siriani, eritrei, centrafricani e iracheni entro il 2017. È un esempio d’inefficienza: il 12 aprile, la Commissione Ue ha affermato che in sette mesi sono stati trasferiti solo 1.145 profughi, 530 provenienti dall’Italia, 615 dalla Grecia. L’obiettivo appare lontano.

Del resto, la reazione dell’Europa di fronte agli arrivi dei profughi può essere raccontata in due modi. Da un lato, l’Europa dei muri di carta e di filo spinato, dei respingimenti e dei gruppi xenofobi che soffiano sul fuoco. Dall’altro, l’Europa dell’accoglienza: quella dei corridoi umanitari e dei cittadini che si organizzano per distribuire scarpe e cibo ai profughi che camminano scalzi e affamati, per ospitarli in chiese e case da Lesbo a Calais, dalla Sicilia alla Svezia. E ancora, gli austriaci partiti quest’estate con le loro macchine linde per andare a prendere i siriani bloccati dalla polizia oltreconfine e i tedeschi che li accoglievano cantando l’Inno alla Gioia alla stazione di Monaco. Nel giugno di un anno fa, quando le frontiere di Ventimiglia e del Brennero vennero chiuse in contemporanea e varie centinaia di profughi furono costrette a dormire per strada nei pressi della Stazione Centrale di Milano, il Comune dovette chiedere ai milanesi di non portare più aiuti: l’ondata di solidarietà era stata talmente contagiosa che in poche ore aveva esaurito le necessità.

L’Europa dei muri e quella dell’accoglienza. Due realtà opposte ma, paradossalmente, entrambe vere. Ciascuno deve scegliere quale vuole contribuire a costruire. Papa Francesco ha indicato la stessa direzione che il sondaggio di Amnesty attribuisce alla maggioranza degli europei. Ha detto: «La famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa: questo non è Dio, è il nostro peccato». Non è un`esortazione, ma una ferma convinzione: non c’è futuro per l’Europa nella chiusura.

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