PHOTO
Le scene di giubilo in piazza Syntagma da parte dei sostenitori del "no" suggellano la vittoria della linea Tsipras-Varoufakis. I sostenitori del Governo hanno vinto il referendum e possono già esultare quando lo scrutinio è ancora a metà. Ma per la Grecia, da domani, si profilano mesi, forse anni, difficilissimi.
Sul piano politico la vittoria del “no” al referendum con cui il premier Tsipras ha voluto sparigliare le carte nella trattativa con Bruxelles e la Troika per ricevere un po' d'ossigeno potrebbe essere un assist da non perdere per far invertire la rotta all'Europa, cambiare le regole d'ingaggio degli Stati, iniziare a pensare (seriamente non con il contentino ridicolo del piano Juncker da 20 miliardi di euro) a una politica economica di crescita e investimenti. Sul piano dell'immagine l'Europa miope, finanziariamente intransigente, senza visione, ottusamente burocratica subito l'ennesimo, pesantissimo colpo.
L'affaire greco, con il suo corollario di tira e molla, promesse non mantenute e inefficienze insostenibili per uno Stato che vuole uscire dalla crisi, segna l'irrompere, improvviso e magari ruvido, di scelte politiche e sociali scomode, che per anni, troppi, sono stati rimandate. Atene chiede un ritorno alla politica che si occupi più delle persone in carne e ossa e meno di numeri. Il voto greco segna il punto più alto di una crisi di un'Europa priva di governo politico e di una visione comune. Occorre cogliere questo segnale che non è più di generico malessere ma accomuna molti Paesi europei e crea spaccature sociali pesantissime.
Sul piano tecnico, il dramma è solo all'inizio. La vittoria del “no” cambia poco, anzi nulla, sulla situazione della Grecia che, come ha detto anche il pittoresco ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, è alle prese con “deficit primario” insostenibile, vale a dire che è così indebitato da dover contrarre nuovi debiti per pagare gli interessi sui debiti già esistenti. Sa benissimo il premier Alexis Tsipras, al di là dell'esultanza e delle dichiarazioni sulla “vittoria della democrazia”, che senza un sostegno immediato (tradotto: da lunedì mattina) della Banca centrale europea ad Atene e in tutto il Paese cominceranno a scarseggiare il pane, la benzina, le medicine e le banche si avvicinerebbero pericolosamente al fallimento.
In cambio del sostegno di Bruxelles, e della riapertura del tavolo delle trattative, cosa possono offrire Tsipras e Varoufakis? Una politica di rigore, di sacrifici, come si dice in gergo. Indispensabile anche se la Grecia dovesse uscire dall'euro o dovesse passare alla doppia moneta. La partita più dura per Atene comincia da ora.
Sul piano politico la vittoria del “no” al referendum con cui il premier Tsipras ha voluto sparigliare le carte nella trattativa con Bruxelles e la Troika per ricevere un po' d'ossigeno potrebbe essere un assist da non perdere per far invertire la rotta all'Europa, cambiare le regole d'ingaggio degli Stati, iniziare a pensare (seriamente non con il contentino ridicolo del piano Juncker da 20 miliardi di euro) a una politica economica di crescita e investimenti. Sul piano dell'immagine l'Europa miope, finanziariamente intransigente, senza visione, ottusamente burocratica subito l'ennesimo, pesantissimo colpo.
L'affaire greco, con il suo corollario di tira e molla, promesse non mantenute e inefficienze insostenibili per uno Stato che vuole uscire dalla crisi, segna l'irrompere, improvviso e magari ruvido, di scelte politiche e sociali scomode, che per anni, troppi, sono stati rimandate. Atene chiede un ritorno alla politica che si occupi più delle persone in carne e ossa e meno di numeri. Il voto greco segna il punto più alto di una crisi di un'Europa priva di governo politico e di una visione comune. Occorre cogliere questo segnale che non è più di generico malessere ma accomuna molti Paesi europei e crea spaccature sociali pesantissime.
Sul piano tecnico, il dramma è solo all'inizio. La vittoria del “no” cambia poco, anzi nulla, sulla situazione della Grecia che, come ha detto anche il pittoresco ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, è alle prese con “deficit primario” insostenibile, vale a dire che è così indebitato da dover contrarre nuovi debiti per pagare gli interessi sui debiti già esistenti. Sa benissimo il premier Alexis Tsipras, al di là dell'esultanza e delle dichiarazioni sulla “vittoria della democrazia”, che senza un sostegno immediato (tradotto: da lunedì mattina) della Banca centrale europea ad Atene e in tutto il Paese cominceranno a scarseggiare il pane, la benzina, le medicine e le banche si avvicinerebbero pericolosamente al fallimento.
In cambio del sostegno di Bruxelles, e della riapertura del tavolo delle trattative, cosa possono offrire Tsipras e Varoufakis? Una politica di rigore, di sacrifici, come si dice in gergo. Indispensabile anche se la Grecia dovesse uscire dall'euro o dovesse passare alla doppia moneta. La partita più dura per Atene comincia da ora.





