La guerra contro il micidiale virus
Ebola si combatte anche a
Napoli. Si combatte con le armi
della scienza, affidandosi alla
competenza e alla passione
di un gruppo di giovani ricercatori
della Okairos, un’azienda
biofarmaceutica impegnata nello
sviluppo di vaccini contro le principali
malattie infettive: malaria, epatite C,
tubercolosi e, appunto, Ebola.
La possibilità di un vaccino per contrastare
la febbre emorragica è stata studiata
nei laboratori di Okairos ospitati
all’interno del Ceinge, un consorzio nato
nel 1983 che ha come partner la Regione
Campania, l’Università Federico
II, la Provincia, la Camera di commercio
e il Comune di Napoli.
Al Ceinge, che funge da incubatorio,
si fa ricerca nel campo delle biotecnologie
avanzate e delle loro applicazioni
nell’ambito della salute. In particolare
si studiano le malattie genetiche ereditarie, le leucemie e alcune forme di tumore.
Si svolge anche l’attività di diagnostica
molecolare.
Si tratta di un centro
di eccellenza di cui va molto fiero il
suo presidente Francesco Salvatore,
docente di Biochimica alla Federico II,
il quale spera che poli di ricerca scientifica
come questo possano fermare la fuga
di cervelli dall’Italia. «Anzi», dice,
«la speranza è quella di attirare qui e di
far restare nel nostro Paese anche i ricercatori
stranieri».
La sfida, per i giovani cervelli italiani
di Okairos, è stata quella di realizzare
una piattaforma tecnologica per far
entrare in azione i linfociti killer contro il virus di Ebola. Antonella Folgori,
fra i fondatori di Okairos e direttore del
dipartimento di Immunologia, spiega:
«Per armare il sistema immunitario
usiamo una specie di “navetta” che possa
portare all’interno dell’organismo il
Dna del virus che vogliamo debellare.
Queste navette sono altri virus meno
pericolosi, come gli adenovirus». A
quel punto la reazione dei linfociti killer
dovrebbe portare alla soppressione
del virus Ebola.
Dopo cinque anni di ricerche si è capito
che il vaccino era maturo per poter
essere testato sugli animali, dove si è dimostrato
efficace, come illustrato in un
articolo su Nature Medicine. Studiato a
Napoli e prodotto a Pomezia, alle porte
di Roma – presso l’Irbm Science Park –,
ora il vaccino è stato mandato negli Stati
Uniti e in Gran Bretagna dove partiranno
i primi test clinici su volontari sani.
Okairos è un nome greco, riferito al
tempo. Si potrebbe tradurre con “tempo di Dio”, inteso anche come “il momento
giusto”. L’azienda è stata fondata da Riccardo
Cortese, Alfredo Nicosia, Stefano Colloca
e Antonella Folgori. Acquisita dalla multinazionale
GlaxoSmithKline, restano comunque italiane
le sedi a Napoli e Pomezia.
Le donne rappresentano la maggioranza dei
ricercatori. Antonella Folgori, sposata, due figli,
romana, ha lavorato per anni alla Merck e ha vissuto
due anni a Strasburgo per una specializzazione
dopo il dottorato. Virginia Ammendola,
napoletana, coordinatrice del gruppo di vettorologia,
ha fatto esperienze in laboratori di ricerca
finanziati da Telethon. Morena D’Alise, napoletana,
34 anni, laureata in Biotecnologie mediche a
Napoli, vanta un dottorato di ricerca negli Stati
Uniti, alla prestigiosa università di Harvard. Però
è tornata. Convinta. «Questa», assicura, «è
una delle poche realtà che funziona bene in Italia.
Qui si può fare buona ricerca. Non penso
proprio di aver fatto un passo indietro lasciando
gli Stati Uniti».
Ha studiato all’estero anche Angiolo Pierantoni,
30 anni, napoletano. Dopo la laurea in Biotecnologie
mediche, Angiolo ha studiato in Gran
Bretagna e poi in Spagna. In Spagna sarebbe anche
rimasto, ma poi la crisi economica lo ha costretto
a tornare. «Consiglierei a tutti di fare esperienze
all’estero», dice, «perché aiutano dal punto
di vista umano e professionale. Ti crei un bagaglio
multiculturale che ti servirà sempre. Inoltre,
stando fuori, ci si rende conto della mentalità
decadente italiana, dove il lavoro è svalutato e
rischi una vita da precario tradito da continue
promesse. Per fortuna, tornato in Italia ho trovato
lavoro in questi laboratori che, qui da noi, rappresentano
una specie di oasi nel deserto».