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lunedì 16 settembre 2024
 
 

Padre Alejandro Solalinde: a bordo della "Bestia" coi migranti

20/10/2013  Il missionario, fondatore e direttore del rifugio "Hermanos en el camino" ("Fratelli sulla strada") accoglie migliaia di migranti degli Stati del Centro America che migrano verso gli Stati Uniti. Salinde, in questi giorni in Italia, racconta che cosa accade nel viaggio a bordo della “Bestia”, il famigerato treno dei migranti. La versione messicana dei barconi della morte del Mediterraneo.

«Quello che succede in Messico non è diverso da quanto accade a Lampedusa. Sono due facce della stessa rivoluzione: persone che si mettono in viaggio alla ricerca di un mondo più equo, più inclusivo, meno "accaparrato" ed egoista. Persone che hanno una missione. Per quale motivo Stati Uniti ed Europa rispondono con la paura, anzi, con il terrore? Da dove arriva questo terrore per i migranti?».

Sono parole pacate e insieme dure quelle di padre Alejandro Solalinde, fondatore e direttore del rifugio "Hermanos en el camino" ("Fratelli sulla strada") a Ciudad Ixtepec, nello stato di Oaxaca, nel Sud del Messico. Lì trovano ospitalità migliaia di migranti degli Stati del Centro America (El Salvador, Guatemala, Honduras): uomini e donne di ogni età, ma anche bambini, che fuggono dalla miseria con la speranza di raggiungere gli Stati Uniti. Arrivano a Ixtepec stremati, a bordo della "bestia" (così viene chiamato il treno merci che attraversa il Paese), in un viaggio che le organizzazioni umanitarie descrivono come uno tra i più pericolosi al mondo.

Padre Solalinde li accoglie, con un impegno infaticabile che lo ha portato a contrastare gli interessi dei gruppi criminali locali, tanto da ricevere maltrattamenti, ripetute minacce di morte e dover vivere sotto protezione. In questi giorni il sacerdote si trova in Italia. A Torino è stato invitato dalla Sezione Italiana di Amnesty International, in collaborazione con il Tavolo Torinese per le Madri di Ciudad Juárez. Partecipa a un incontro nel quale gli attivisti di Amnesty, ma anche le autorità cittadine desiderano richiamare l'attenzione sulle violazioni dei diritti umani in Messico. Che non si tratti di una semplice conferenza lo si intuisce dal calore con cui padre Solalinde stringe la mano a tutti i presenti, cercando di abolire ogni barriera formale. Le volte affrescate e gli scaloni del municipio creano un singolare contrasto con la serena sobrietà del personaggio.

Inevitabilmente, in giorni segnati da tragedie e grandi interrogativi, si crea un parallelismo tra i "suoi" e i "nostri" migranti. Storie diverse e lontane, ma anche un comune destino. «Dobbiamo cercare di leggere questi fenomeni con uno sguardo globale», spiega padre Solalinde. «Qui come in Messico, quello che stiamo vivendo è un cambio di epoca e i migranti ne sono un segno. Sono persone povere e ignorate, spesso considerate "illegali" e costrette a confrontarsi con un mondo ostile. Eppure a loro è stata affidata una missione».

Su questo punto il sacerdote torna più volte: «I migranti non sono semplicemente delle vittime, né semplicemente un problema. Sono i portatori di una ricerca: chiedono aiuto e ascolto, ma anche una società nella quale la maggioranza delle ricchezze non sia in mano all'1% della popolazione». In Messico sono centinaia di migliaia i migranti irregolari (non in possesso dei documenti ufficiali per il viaggio) che diventano vittime di sequestri di massa, stupri e torture da parte del crimine organizzato, nell'indifferenza e a volte perfino con la complicità delle forze dell’ordine.

«Sono come uno specchio, i migranti», continua il sacerdote, «perché nelle loro storie possiamo vedere l'immagine di ciò che noi stessi siamo. Tra l'altro, non dimentichiamolo, la storia ci ricorda che, oltre ai movimenti da Sud a Nord, ne sono esistiti altri, in direzione opposta. E se un giorno i cambiamenti climatici ci costringessero a diventare a nostra volta migranti? Non solo: chi oggi arriva nei nostri Paesi è portatore di una spiritualità che noi abbiamo perso. Personalmente ho imparato tantissimo dagli uomini e dalle donne che ho incontrato ai margini della ferrovia. Mi hanno insegnato la spiritualità del cammino. E che vale la pena andare avanti. Anche per questo dico che chi chiude le porte ai migranti le chiude a Dio».

Qualcuno forse potrebbe obiettare che tutte queste argomentazioni non rispondono alla concretezza dell'emergenza. «Ma davvero la risposta migliore è alzare muri? La risposta più adeguata è nei rimpatri forzati?», si chiede il fondatore di "Hermanos en el camino". «Forse l'unica soluzione sarebbe avviare un confronto tra governi, cercando di cambiare radicalmente le condizioni di vita dei Paesi d'origine». Con l'autorevolezza di chi ogni giorno tocca con mano il dolore di tanta gente, ma anche con gli occhi della fede, padre Solalinde sa intrecciare un dialogo nel quale trovano posto la denuncia e la speranza.

Quando gli chiediamo un commento sull'attenzione particolare che papa Francesco ha dedicato ai poveri e ai migranti, fin dai primi giorni di pontificato, lui sembra illuminarsi: «Come Giovanni XXIII, anche Francesco è un "papa giovane". Sì, un giovane instancabile e ribelle, sull'esempio di Gesù. Con la sua predicazione, ma soprattutto con la sua vita, il Papa ci ricorda di continuo che la Chiesa stessa è migrante. La sua è la voce di una Chiesa che non condanna, ma accoglie: siamo davanti a un grande segno di speranza».

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