Brasile, Stato del Parà: Edite è una casalinga con un marito alcolizzato e cinque figli. Si ammala di lebbra e il marito comincia a maltrattarla; per lui quella terribile malattia è “l’eredità” di un tradimento della moglie. Sembra una storia lontana nel tempo, invece è storia di oggi.
«La lebbra è innanzitutto un problema di diritti umani e di emarginazione». A dirlo è Anna Maria Pisano, presidente Aifo (Associazione italiana amici di Raoul Follereau - organizzazione di cooperazione sanitaria internazionale), che racconta anche come si sia abbassata la guardia sulla malattia: «Sebbene il Brasile, con circa 31 mila casi nuovi nel 2013, di cui il 7% con meno di 15 anni, rappresenti dopo l’India il secondo Paese al mondo per numero di casi, la tendenza delle autorità sanitarie è quella di sottovalutare la lebbra, la si considera tra le malattie dimenticate».
Il 25 gennaio è la Giornata mondiale dei malati di lebbra, un appuntamento che si rinnova dal 1954, intitolato quest’anno “Vivere è far vivere” («una frase di Follereau che esprime con semplicità e chiarezza il dovere della solidarietà», sottolinea Anna Maria Pisano), e si tiene sotto l’alto Patronato del presidente della Repubblica.
Cinquemila volontari in 800 piazze italiane distribuiscono il “Miele della solidarietà”, per informare sulla curabilità della malattia, e per sensibilizzare sull’importanza del sostegno ai progetti Aifo di cura e sviluppo (nel 2013, grazie a tali progetti, sono stati curati 29.952 casi). Sabato 24 e domenica 25 gennaio, il messaggio ha varcato anche gli stadi di calcio, per iniziativa dell’Associazione degli allenatori (Aiac) e della Lega Calcio serie A. E come ogni anno, anche per questa 62esima edizione, Aifo porta in Italia un “testimone della solidarietà”: si tratta dell’indiana suor Leela, responsabile del programma sociosanitario nel distretto di Mandya.
Per il 2013, l’Oms riporta 215.656 nuovi casi diagnosticati
La dottoressa Pisano, insiste sul fatto che la lebbra non è sconfitta: «Il morbo di Hansen – questo è il nome scientifico della malattia – ma grazie a Dio sta diminuendo. Dopo una prima significativa flessione dovuta all’introduzione, nel 1982, della cura farmacologica (Polichemioterapia specifica-Pct), l’incidenza della malattia si è stabilizzata. Per questo l’Organizzazione mondiale della sanità la sta abbandonando. Ma non bisogna abbassare la guardia. Il tempo di incubazione è lungo, e perciò è difficile da sradicare».
Per il 2013, l’Oms riporta 215.656 nuovi casi diagnosticati, con una diminuzione rispetto all’anno precedente (17.201 in meno); ma solo 103 Paesi hanno inviato le statistiche annuali, e mancano all’appello molti Paesi con nuovi casi accertati. Il dato è dunque largamente sottostimato. I Paesi con il maggior numero di insorgenze sono: India (126.913), Brasile (31.044) e Indonesia (16.856), ovvero l’81% del totale mondiale. Altri Paesi con un numero significativo di nuovi casi sono: Bangladesh, Cina, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Madagascar, Myanmar, Nepal, Filippine, Sri Lanka, Sud Sudan e Tanzania.
In Italia ogni anno se ne diagnosticano da 6 a 9: si tratta di italiani che hanno soggiornato all’estero in Paesi con lebbra endemica e/o migranti provenienti da tali Paesi. «Fino a pochi anni fa», continua la Pisano, «l’Europa era piena di lebbra. Il morbo di Hansen è stato scoperto nel nord del continente, non nel terzo mondo. Il pericolo maggiore oggi da noi è che non venga riconosciuto il caso, proprio perché non se ne vedono molti».
In Italia, il controllo della malattia si basa sulla Legge n. 31 del 24 gennaio 1986 e sul Dpr. del 21 settembre 1994, conosciuto come “Atto di indirizzo e Coordinamento delle Regioni e alle Provincie autonome in materia di Morbo di Hansen”, che ha istituito quattro centri di riferimento nazionale per la conferma diagnostica e il trattamento: Genova, Gioia del Colle (Bari), Messina e Cagliari.
- Perché il lebbroso viene ancora stigmatizzato?
«Credo che ciò sia dovuto alla poca conoscenza», spiega la dottoressa, «perché se è vero che la lebbra è contagiosa, è altrettanto vero che è assolutamente curabile. E poi dipende dai Paesi. In alcuni – come India e Brasile – il lebbroso rischia di perdere lavoro, famiglia e amici, per delle macchie sulla pelle che possono scomparire con una terapia semplice ed efficace. Qualcuno dice che lo stigma è dovuto al fatto che la lebbra porta la distruzione del corpo, con segni che rimangono visibili per sempre. Ma, con il progresso delle cure, anche questo non è più del tutto vero. Tuttavia, molti che sono guariti, presentano disabilità permanenti: insensibilità di alcune parti del corpo, cecità, piaghe. Degli 800 milioni di disabili del terzo mondo, molti sono stati lebbrosi. La riabilitazione su base comunitaria che caratterizza i nostri progetti, serve proprio all’inclusione. Di lebbra si guarisce, più difficile è farsi accettare. Per esempio, in Brasile esistono ancora 33 colonie, ovvero piccole comunità di ex-lebbrosi, che vivono assieme perché di fatto non riescono più a rientrare nella società. In ogni caso, non siamo certo al tempo di Raoul Follereau; tantissimo lavoro è stato fatto, milioni di lebbrosi sono ora uomini come gli altri».
- Ma la battaglia è ancora in corso.
«Certo, Perché è assurdo che tanti bambini possano rimanere disabili a vita perché non abbiamo saputo trovarli e curarli in tempo. L’emarginazione non è dovuta alla malattia, ma a una vergognosa ignoranza. Bisogna ricordare ai nostri governanti e anche al mondo sanitario che le cosiddette “malattie rare” non sono rare dappertutto e non si possono e devono dimenticare. Come Aifo vogliamo impegnarci, non solo per un mondo senza lebbra, ma per un mondo dove tutti possano vivere con dignità e godere di diritti».