Incontri ufficiali e a porte chiuse. Dopo aver ricevuto in serata alcune vittime di abusi e aver preso appunti sulle loro ferite ancora da sanare, Francesco apre la giornata affrontando il tema della democrazia, della salute e dell’accoglienza con il vicepresidente della Commissione europea, Margaritīs Schinas, con Dubravka Šuica, vicepresidente della Commissione europea e commissario europeo per la democrazia e la demografia, con Oxana Domenti, rappresentante dell’Oms presso l’Unione europea e con il direttore regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’Europa, Hans Kluge.
Subito dopo, però, nella chiesa di Saint Gilles, fa colazione con i senzatetto assistiti dalla parrocchia. «Avete ideato perfino La Biche de saint Gilles, e immagino sia una birra molto buona!», dice di risposta al regalo che gli è stato fatto e che contribuisce a sostentare le opere di carità.
Con alcuni di loro, poi, raggiunge la Basilica del Sacro Cuore di Koekelberg. Qui parla di abusi, carcere, migranti.
Papa Francesco, nell’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali, ascolta le testimonianze di un sacerdote, di un sacerdote, di una operatrice pastorale, di un teologo, di una rappresentante dei centri di accoglienza per vittime di abusi, di una religiosa e di un cappellano carcerario. Sei testimonianze di una Chiesa che, pur essendo minoritaria, vuol continuare a dare la sua testimonianza del Vangelo.
Papa Francesco li incoraggia. « In questo crocevia che è il Belgio, voi siete una Chiesa “in movimento”», dice loro. «Infatti, da tempo state cercando di trasformare la presenza delle parrocchie sul territorio, di dare un forte impulso alla formazione dei laici; soprattutto vi adoperate per essere Comunità vicina alla gente, che accompagna le persone e testimonia con gesti di misericordia».
Una Chiesa che è diventata minoranza e alla quale Francesco propone tracce di riflessione attorno a tre parole: evangelizzazione, gioia, misericordia.
«I cambiamenti della nostra epoca e la crisi della fede che sperimentiamo in Occidente ci hanno spinto a ritornare all’essenziale, cioè al Vangelo, perché a tutti venga nuovamente annunciata la buona notizia che Gesù ha portato nel mondo, facendone risplendere tutta la bellezza», dice riferendosi alla evangelizzazione e alla necessità, attraverso la crisi, di scuotersi, di svegliarsi dal torpore. «Quando sperimentiamo la desolazione, infatti, sempre dobbiamo chiederci quale messaggio il Signore ci vuole comunicare. E cosa ci fa vedere la crisi? Siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo “di minoranza”, o meglio, di testimonianza. E questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per avviare quelle trasformazioni pastorali che riguardano anche le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione».
Questo coraggio è chiesto anche ai preti che non devono limitarsi a «conservare o gestire un patrimonio del passato», ma devono essere «pastori innamorati di Gesù Cristo e attenti a cogliere le domande di Vangelo – spesso implicite – mentre camminano con il Popolo santo di Dio, un po’ davanti, un po’ in mezzo e un po’ in fondo». Quando si porta il Vangelo si apre il cuore all’incontro, ai sogni, a spiritualità diverse.
«Tutti in cammino, ma su strade diverse», dice riprendendo le parole di una delle testimonianze. «Dev’essere proprio così, perché tanti possono essere i percorsi personali o comunitari, che ci conducono però alla stessa meta, all’incontro con il Signore: nella Chiesa c’è spazio per tutti, tutti, tutti e nessuno dev’essere la fotocopia dell’altro». Perché «l’unità nella Chiesa non è uniformità, ma è trovare l’armonia nella diversità!».
Un applauso accoglie le parole di Francesco. Che spiega che anche «il processo sinodale dev’essere un ritorno al Vangelo; non deve avere tra le priorità qualche riforma “alla moda”, ma chiedersi: come possiamo far arrivare il Vangelo in una società che non lo ascolta più o si è allontanata dalla fede? Chiediamocelo tutti».
E poi «la gioia». Non quelle «legate a qualcosa di momentaneo» legate all’evasione o al consumismo. «Si tratta di una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti oscuri o dolorosi, e questo è un dono che viene dall’alto, da Dio. È la gioia del cuore suscitata dal Vangelo: è sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, di peccato, di afflizione, Dio è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l’ultima parola». Cita papa Benedetto che, molto prima di diventare Papa, nel 1978, scriveva che una regola del discernimento è questa: “Dove manca la gioia, dove l’umorismo muore, qui non c’è nemmeno lo Spirito Santo [...] e viceversa: la gioia è un segno della grazia”. Bello».
E dunque il Papa sprona a che «il vostro predicare, il vostro celebrare, il vostro servire e fare apostolato lasci trasparire la gioia del cuore, perché questo suscita domande e attira anche coloro che sono lontani». La gioia è la strada che ci accompagna anche nelle difficoltà. Dobbiamo essere capaci di mostrare che la fedeltà al Vangelo è un «“cammino verso la felicità”. E, allora, intravedendo dove conduce la strada, si è più pronti a iniziare il cammino».
Infine la terza via, che è quella della misericordia. Dobbiamo sapere che Dio «mai ritira il suo amore per noi. Fissiamo questo nel cuore: mai Dio ritira il suo amore per noi. “Ma anche quando ho commesso qualcosa di grave?”. Mai Dio ritira il suo amore per te. Questo, davanti all’esperienza del male, a volte può sembrarci “ingiusto”, perché noi applichiamo semplicemente la giustizia terrena che dice: “chi sbaglia deve pagare”. Tuttavia la giustizia di Dio è superiore: chi ha sbagliato è chiamato a riparare i suoi errori, ma per guarire nel cuore ha bisogno dell’amore misericordioso di Dio. Non dimenticate, Dio perdona tutto e Dio perdona sempre. È con la sua misericordia che Dio ci giustifica, cioè ci rende giusti, perché ci dona un cuore nuovo, una vita nuova».
E parlando degli abusi ringrazia Mia, «per il grande lavoro che fate per trasformare la rabbia e il dolore in aiuto, vicinanza e compassione». Deve interrompersi per gli applausi che sottolineano questo ringraziamento. «Gli abusi generano atroci sofferenze e ferite, minando anche il cammino della fede. E c’è bisogno di tanta misericordia, per non rimanere col cuore di pietra dinanzi alla sofferenza delle vittime, per far sentire loro la nostra vicinanza e offrire tutto l’aiuto possibile, per imparare da loro – come hai detto tu – a essere una Chiesa che si fa serva di tutti senza soggiogare nessuno. Sì, perché una radice della violenza consiste nell’abuso di potere, quando usiamo i ruoli che abbiamo per schiacciare gli altri o per manipolarli». La misericordia è una parola chiave anche per i carcerati. «Quando io entro in un carcere mi domando: “Perché voi e non io?”», sottolinea Francesco. «Gesù ci mostra che Dio non si tiene a distanza dalle nostre ferite e impurità. Egli sa che tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato. Nessuno è perduto per sempre. È giusto, allora, seguire tutti i percorsi della giustizia terrena e i percorsi umani, psicologici e penali; ma la pena dev’essere una medicina, deve portare alla guarigione. Bisogna aiutare le persone a rialzarsi e a ritrovare la loro strada nella vita e nella società. Ricordiamoci: tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato, nessuno è perduto per sempre. Misericordia, sempre misericordia», dice il Papa sottolineato dagli applausi dei presenti.
Invita tutti a ricordare «un’opera di Magritte, vostro illustre pittore, che si intitola “L’atto di fede”. Rappresenta una porta chiusa dall’interno, che però è sfondata al centro, è aperta sul cielo. È uno squarcio, che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi. Questa è un’immagine che vi lascio, come simbolo di una Chiesa che non chiude mai le porte, che a tutti offre un’apertura sull’infinito, che sa guardare oltre. Questa è la Chiesa che evangelizza, vive la gioia del Vangelo, pratica la misericordia».