Il discorso di papa Francesco ai mille delegati della Cisl, guidati dal segretario Annamaria Furlan, in occasione del Congresso federale, va annoverato certamente tra quelli da ricordare nella storia del sindacato fondato da Giulio Pastore. Non solo, ma come sempre più spesso avviene, le parole del papa irrompono nell’economia italiana, affrontano i temi del lavoro, delle pensioni, del welfare, si fanno carico non solo dell’ingiustizia sociale, ma anche delle iniquità. Una lezione di sindacato svolta come sempre con parole semplici, crude, talvolta molto dure e soprattutto chiare, sotto la cui superficie però, ci sono oltre un secolo di dottrina sociale della Chiesa.
Ed ecco Francesco definire le “pensioni d’oro” nient’altro che “un’offesa al lavoro, non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni”. Impossibile non evocare lo scandalo delle pensioni d’oro che ha coinvolto gli stessi dirigenti della Cisl due anni fa, con rendite che superavano i 5 mila euro mensili.
Ma oltre la denuncia al Papa preme portare avanti quel “patto sociale” indispensabile per dar un futuro a milioni di giovani. Un patto “che riduca le ore di lavoro di chi è nell'ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare". Perché "è una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti". Bergoglio sembra essere l’unico, in questa fase storica, a denunciare con chiarezza i limiti del liberismo, della speculazione finanziaria fine a sé stessa, di quella globalizzazione che ha devastato milioni di famiglie in tutto il mondo ponendole ai margini del mercato.
Per Francesco non si deve infatti parlare di economia di mercato, ma di economia sociale di mercato, “come ci ha insegnato Giovanni Paolo II". Nelle sue parole l’eco delle grandi encicliche sociali, da Leone XIII a Paolo VI, da Ratzinger XVI a papa Wojtyla. Non si tratta di strappi o di fughe in avanti ma di coerenza con la dottrina sociale della Chiesa adeguata alle contingenze storiche.Nel passaggio precedente aveva persino “sferzato” il sindacato cattolico di Annamaria Furlan, rilevando che "il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell'economia, dell'impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato - ha detto il Papa - perché non lo vede abbastanza lottare nei luoghi dei 'diritti del non ancora': nelle periferie esistenziali".
Come dimostra anche la grande tradizione della Cisl, aggiunge il Papa “il movimento sindacale ha le sue grandi stagioni quando è profezia. Ma alle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire questa sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe criticare. Il sindacato col passare del tempo ha finito per somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l'azione dentro le imprese perde forza ed efficacia”. Questo passaggio del discorso del Papa è stato molto applaudito dai presenti all'udienza. Un sindacato partecipato, onesto, che si faccia carico dei più deboli, che contribuisca alla pace tra le parti sociali, che raddrizzi le diseguaglianze sociali, che faccia da contropotere al liberismo selvaggio e al potere della politica omnipervasivo, spesso al servizio dei mercati e dei grandi gruppi finanziari. Questo è il sindacato della dottriona sociale della Chiesa, questo è il sindacato di Jorge Maria Bergoglio.