La libertà di scelta educativa? Nel resto d’Europa è una
realtà. Solo nel nostro paese, complici letture ideologiche o maldestre,
continua a divampare uno scontro che si alimenta nella contrapposizione
tra scuole “pubbliche” e “private”.
Ed è forse proprio da questi due termini che è il caso di partire, per
fare un po’ di chiarezza. E’ stata la legge Berlinguer sulla parità
scolastica, la numero 62 del 2000, a riconoscere il sistema nazionale di
istruzione come un "unicum" costituito dalle scuole statali, da quelle
paritarie e da quelle dagli enti locali. L'obiettivo dichiarato era
quello di ampliare l'offerta formativa e rispondere alla domanda del
"servizio" istruzione, dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita.
Le scuole “paritarie” dunque non sono al di fuori del sistema nazionale
di istruzione, ma ne fanno totalmente parte: sono tutte le istituzioni
scolastiche non statali e in esse sono comprese anche quelle degli enti
locali. Chiamarle “private” è dunque fuorviante, anche perché nel Paese
sopravvivono scuole private vere e proprie che restano al di fuori del
sistema nazionale d’istruzione.
Alle scuole paritarie (a gestione privata, non profit, di diverso
orientamento culturale e religioso, di enti locali) è stata invece
riconosciuta la "parità" in termini di allineamento ai parametri
posseduti dalle scuole statali, riguardanti l'offerta formativa e
l'autorizzazione a rilasciare titoli di studio equipollenti.
Ma torniamo all’Europa. Risale al 1984, cioè a 29 anni fa, una
Risoluzione del Parlamento Europeo sulla “libertà di scelta in campo
educativo”. In virtù di essa si sottolinea l’ “obbligo per gli Stati
membri di rendere possibile tale diritto anche sotto il profilo
finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche
necessarie allo svolgimento del loro compito e all’adempimento dei loro
obblighi, in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti
corrispondenti, senza discriminazioni nei confronti dei gestori, dei
genitori, degli alunni e del personale”.
Per questo motivo anche Paesi indubitabilmente laici come la Francia o
la Germania sostengono con fondi adeguati le scuole non statali, anche
di orientamento cattolico. Attraverso rette quasi simboliche, la libertà
di scegliere la scuola e il percorso educativo dei propri figli diventa
per le famiglie che abitano nel resto d’Europa un diritto davvero
esigibile.
E nel nostro paese? «In Italia la discussione si porta dentro un vizio
d’origine, quello dei rapporti tra Stato e Chiesa. Così si finisce per
spostare il problema su un piano concordatario, con uno scontro
ideologico che azzera il vero fulcro del problema, ossia il diritto
delle famiglie alla libera scelta della scuola», sottolinea l’avvocato Marco Masi, presidente di Cdo Opere Educative,
che a Bologna sta seguendo da vicino la vicenda del referendum. «Solo
l’ideologia può aggettivare il “privato” in modo spregiativo e non
rispettoso della realtà. Qui a Bologna le scuole materne paritarie
accolgono il 21% degli alunni. Ad esse il Comune destina il 2,8% di
quanto investe nella scuola dell’infanzia. Abbiamo già spiegato che se
l’amministrazione comunale accogliesse la proposta dei referendari, con
le risorse oggi destinate ai 1.736 alunni delle paritarie riuscirebbe ad
attivare appena 145 nuovi posti nella scuola comunale. È evidente che
l’esigenza di assicurare a tutti l’accesso alla scuola dell’infanzia
impone invece di proseguire e potenziare la collaborazione tra le varie
forme di gestione scolastica (comunale, statale e paritaria) oggi
presenti».
Nei principali paesi europei, per le scuole paritarie funziona in questo
modo (la comparazione è stata elaborata e pubblicata in un contributo
di Fidae Lombardia):
Belgio: Lo Stato paga gli stipendi del personale docente e non docente
Francia:
Le paritarie qui sono 9mila, con 2 milioni di studenti (il 17% del
totale). I contributi alle scuole non statali variano a seconda del tipo
di contratto che il singolo istituto stipula con lo Stato, scegliendo
tra 4 possibilità: integrazione amministrativa (in base a cui lo Stato
paga tutte le spese); contratto di associazione (in cui lo Stato paga
gli stipendi dei docenti e le spese di funzionamento); contratto
semplice (in cui lo Stato paga solo gli stipendi dei docenti); contratto
di massima libertà che non prevede nessun contributo.
Germania: Il
sistema integrato Stato/Laender paga alle scuole non statali l’85% del
salario degli insegnanti, il 90% degli oneri pensionistici, il 10% delle
spese di funzionamento, il 100% delle riparazioni dell’immobile. Le
scuole paritarie cattoliche sono il 20% del totale, con un bacino di
circa mezzo milione di studenti.
Inghilterra: Le scuole non statali
si chiamano “maintained schools”. Lo Stato paga l’85% delle spese di
costruzione, il 100% degli stipendi e delle spese di funzionamento.
Olanda:
Lo Stato paga il 100% di tutte le spese nella scuola dell’obbligo,
sussidi per il funzionamento e la costruzione nella scuola superiore, il
100% delle spese a determinati requisiti di legge.
Irlanda: A carico
dello Stato c’è il 90% delle spese di costruzione, il 100% nella scuola
del’obbligo e l’88% nelle scuole superiori.
Portogallo: Per le paritarie viene coperto il costo medio per alunno di scuola statale.
Spagna: Lo Stato copre il 100% delle spese. Le scuole paritarie sono frequentate dal 30% degli studenti.