“Petaloso”, parola inventata da un bambino, ha fatto il giro del web. Abbiamo chiesto alla professoressa Valeria Della Valle, docente di linguistica alla Sapienza, abilissima a nello spezzare il pane del sapere linguistico per i comuni mortali, di aiutarci a capire perché la Crusca l'ha approvata come "ben costruita" e se davvero vivrà.
Che cosa ci dicono della nostra lingua la parola “petaloso” e il clamore con cui è stata accolta?
«Ci confermano che, nonostante tutto quello che si dice del suo presunto declino, attorno alla nostra lingua c’è un grande interesse. Lo vedo anche nella vita quotidiana: sono molte le domande che mi arrivano anche da strati popolari, posso testimoniare che la lingua italiana non è una curiosità solo intellettuale. E questo è un fatto positivo. L'aggettivo “petaloso” ha finito per diventare un simbolo di questa curiosità».
Abbiamo anche scoperto che ne esisteva un’attestazione scritta: Michele Serra l’aveva usata ai tempi in cui scriveva su Panorama…
«Non solo, qualcun altro ha segnalato che c’è un precedente trovato in un testo di botanica antico, forse tradotto dall’inglese. Ma credo che l’attenzione venga dal fatto che le persone sono sempre curiose della nascita delle parole: da dove viene? Chi l’ha inventata? Chi l’ha usata per primo? Come fa a diffondersi? Sono domande ricorrenti. Quello che noto, con il polso degli addetti ai lavori, è che mai come in questo momento hanno avuto fortuna libri divulgativi sulla lingua italiana, segno che c’è un interesse reale».
Si tratta di un interesse recente?
«Quando, ormai oltre vent’anni fa, Giuseppe Patota e io pubblicammo Il salvalingua, non esisteva niente di simile, tranne Impariamo l’italiano di Cesare Marchi, unico esperimento e uscito alla metà degli anni Ottanta (Una nuova fatica di Della Valle-Patota, ancora in cerca di titolo uscirà a maggio, in tema di errori che smettono di esserlo ndr.). Sono tutti libri che risolvono problemi pratici e indicano che il pubblico sente il bisogno di sanare dubbi quando scrive e quando parla».
Ci sono altri segni dei tempi in fatto di curiosità sulla lingua?
«Anche la rivolta contro le parole straniere è diventata diffusa: sento molte persone che sull’autobus o in treno mi dicono che non se ne può più di “bail-in e spending review”. Questo sentimento identitario attraverso la lingua è un fenomeno abbastanza nuovo».
Che cosa fa dire alla Crusca: “Sì “petaloso” è verosimile, mentre un’altra parola potrebbe non esserlo?
«"Petaloso" non è stata bocciata perché strutturalmente è una parola ben formata, segue cioè le regole della lingua italiana: in questo caso prende un nome, aggiunge il suffisso “–oso” e ne fa un aggettivo, sul modello di altri aggettivi che già esistono: polveroso, amoroso, peloso. Abbiamo regole tracciate per la formazione di nuove parole: possiamo formarle per “derivazione” aggiungendo qualcosa davanti o dietro, oppure per "composizione" unendone due e fondendole insieme. In questo caso le regole tradizionalissime sono state rispettate».
Conta qualcosa il fatto che potenzialmente la parola inventata dal bambino copra un “buco”?
«Mi sono chiesta quante volte la useremmo e non direi che ce ne sia davvero bisogno: un fiore ha i petali, è scontato. Direi che il buco è solo in teoria, c’è anche un fatto di cronologia, alcune parole sono generate presto direttamente dal latino e si sono imposte prima, altre arrivano dopo perché se ne sente l’esigenza: di questa probabilmente l’esigenza non si sentiva, è stato un simpatico "errore". Quello che però possiamo verificare è che grazie al grande clamore la parola è circolata in maniera virale, ma non credo che si affermerà nel suo significato proprio, anche se si è visto che già oggi qualcuno nei titoli dei giornali ci ha giocato, con cose come: «Alle sfilate si afferma il “petaloso”». Ma sono forzature. Di qui a dire che gli italiani la useranno ne corre, ma non si può mai dire, bisogna aspettare e vedere. Nel 1992 si affermò “tangentopoli”, quando andai a dire al direttore del Vocabolario Treccani in cui lavoravo che avremmo dovuto registrarla, mi disse che sarebbe vissuta pochi mesi. E invece…»
Aveva sottovalutato il malcostume degli amministratori italiani…
«Già, non solo tangentopoli non è morta, ma prospera. Per questo non è facile fare previsioni sulle parole. È più prevedibile il successo quando entrano termini scientifici che rispondono a un’esigenza reale: una parola che entra nell’uso comune quando una scoperta viene resa pubblica normalmente sopravvive, perché indica una cosa precisa, che si dice così e solo così. Io non so che cosa sia esattamente un neutrino, ma so che corrisponde a una scoperta scientifica, che è una parola usata da Fermi e che linguisticamente è indispensabile, anche se di neutrini non si parla al bar».