Le parole del ministro Salvini erano giunte, come al solito, “misurate” nei toni e nei modi. Come una persona qualunque che chiacchiera al bar, il titolare del Viminale, cioè del dicastero che dovrebbe provvedere alla sicurezza dei cittadini, appena giunta la notizia dell’uccisione del vice brigadiere a opera – si diceva – di due nordafricani - aveva subito twittato: «Caccia all’uomo a Roma, per fermare il bastardo che stanotte ha ucciso un Carabiniere a coltellate. Sono sicuro che lo prenderanno, e che pagherà fino in fondo la sua violenza: lavori forzati in carcere finché campa». Sotto una valanga di odio: dal «Maledetto. Ancora c’è gente che dice di farli entrare nel nostro paese», all’«ammazzatelo subito», al «rimpatrio a nuoto», all’«ancora parlano di integrazione». Non era stata da meno Giorgia Meloni che aveva parlato del carabiniere «ammazzato da 2 animali, probabilmente magrebini, ancora latitanti» e aveva espresso la sua «tanta rabbia e profonda tristezza, l’Italia non può più essere il punto di appordo di queste bestie».
Il «dagli agli immigrati» era immediatamente partito nonostante il colore bianco della pelle degli aggressori. Perché ormai in Italia sono loro il capro espiatorio di qualunque cosa non vada. E, se c’è un aggressore, non può che essere di colore e africano. A dispetto dei fatti oggettivi. Che dicono che i migranti sono più spesso vittime che aggressori e che i problemi delle città stanno aumentando. Torna la droga, crescono le baby gang, dilaga il bullismo, aumenta l’insicurezza. E due studentelli dell’America bene possono permettersi di venire a Roma non per ammirarne cultura e arte, ma per un divertimento a base di cocaina. Considerandoci quasi un cortile di casa dove, a suon di dollari, poter fare i propri comodi. Né vale l’ultimo post di qualche ora fa sempre dello stesso ministro che, smesso di cavalcare l’onda xenofoba, non rinuncia a citare i «buonisti» rei, a suo parere di non sapere che «negli Stati Uniti chi uccide rischia la pena di morte». Cosa che, noi “buonisti” sappiamo bene. Come sappiamo che proprio gli Stati in cui la pena di morte è in vigore sono i più violenti. Allora, forse, sarebbe bene mettersi al lavoro sul serio per capire, e smontare, le radici del male piuttosto che insistere su un pugno duro di facciata che crea più problemi di quanti ne risolva. Lasciar fare il proprio lavoro alle forze dell’ordine e alla magistratura senza azzardare giudizi che, certo, alimentano il consenso elettorale, ma anche l’odio e l’insicurezza. E che, concentrando l’attenzione, ossessivamente, sui migranti rei di tutti i mali non consentono di affrontare seriamente la vera criminalità.