La mafia ringrazia. Se c’è una cosa che accresce il potere di Cosa Nostra, delle cento ‘ndrine che straziano il tessuto sociale della Calabria, della Campania dei clan infestata da traffici e rifiuti tossici, delle mafie dei colletti bianchi del Sud e del Nord, è la divisione (che significa smarrimento, frantumazione, debolezza) del loro principale avversario: lo Stato. Ecco perché un’istituzione fondamentale come la Commissione antimafia, i cui membri hanno poteri di polizia giudiziaria e hanno la responsabilità di scavare a fondo nelle ferite del Paese, di tracciare la rete delle complicità e del sistema di connivenze, indagando nelle zone d'ombra, nel vero potere dei boss, su quel terzo livello che costituisce il cuore e la mente della criminalità organizzata, non può permettersi di esprimere un presidente nel modo con cui l’ha fatto.
Non giova questa rissa da larghe intese: Pd contro Pdl, richieste di dimissioni, insulti, veleni, astensioni, accuse reciproche di irresponsabilità. Rosy Bindi, candidato di tutto rispetto, anche se di carattere non facile, ha avuto solo 25 elettori (come i famosi 25 lettori del Manzoni), otto voti contrari, due astenuti e il ritiro in grande stile della delegazione del Pdl, che ha minacciato di non partecipare mai ai lavori della seduta. Una bella dimostrazione di debolezza di Stato. La mafia sa che un presidente dimezzato, come il Visconte di Calvino, rischia di esprimere analisi e ricostruzioni non avvalorate da una maggioranza super partes e che ogni giudizio verrà tacciato di ideologia e quindi scarsamente attendibile. L’esatto contrario di quel che dovrebbe fare la Commissione. E per questo ringrazia, anzi, bacia le mani.