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giovedì 14 novembre 2024
 
 

La “meravigliosa resistenza” di Abdelfattah

28/09/2013  “Alrowwad” significa in arabo “i pionieri”, ed educa alla resistenza non violenta all'occupazione. È il nome dell'organizzazione palestinese fondata da Abdelfattah Abuszour ad Aida, a Betlemme, uno dei 59 campi profughi gestiti da Unrwa (l'agenzia Onu per i palestinesi) fra West Bank, Gaza, Siria, Libano e Giordania.

Campo profughi Aida, Betlemme

Camminando dentro Aida vedi tanti bambini, per strada, sui balconi, alle finestre. Delle circa 7 mila persone che popolano questo campo, i due terzi hanno meno di 18 anni, ci tiene a precisarlo subito Abdelfattah Abuszour quando ci accoglie nel Centro di Alrowwad.

Lui ad Aida ci è nato e cresciuto. Nato profugo e cresciuto anche lui per strada come i bambini che aiuta oggi. Ricorda quando da ragazzo si divertiva a fare teatro nei campi al di là del muro alto di cemento che oggi delimita il confine di Aida. Poi ha avuto la possibilità di andare a studiare in Francia. Ci ha dovuto provare sette volte, sette richieste di autorizzazione alle autorità israeliane negate prima dell'ottava, quella che gli ha consentito di espatriare. Solo la determinazione e le idee chiare gli hanno permesso di formarsi per tornare e mettere in atto il suo progetto di resistenza non violenta all'occupazione.

Lui la chiama “beautiful resistence”, dare ai bambini di Aida la possibilità di pensare al futuro creando una prospettiva positiva. Mostrare la faccia dei palestinesi non violenti che sono in tanti, molti, molti di più di quelli che solitamente fanno vedere i media internazionali.

Appena rientrato dalla Francia, quando ha iniziato l'attività di beautiful resistence di Alrowwad, è ripartito proprio dal teatro, quella sua passione da ragazzo. Poi lo sport, il gioco, tutte attività orientate a dare una speranza ai ragazzi e ai bambini nati e cresciuti sotto al muro di Betlemme, sotto il controllo delle torrette israeliane.

Oggi realizza il suo progetto grazie anche alla partnership con l'Ong riminese EducAid attiva da anni in West Bank e a Gaza con progetti di cooperazione e sviluppo in ambito educativo.

"Occorre diffondere questa cultura non violenta"

  

Per mettere in atto la vera non violenza, occorre prima fare pace con se stessi per poter far pace con gli altri. Fare verità con se stessi per poter essere liberi di affrontare lo stato di occupazione quotidiano.

«Non ci possiamo permettere il lusso della disperazione», è una delle sue frasi preferite, «dobbiamo guardare avanti con la speranza nell'uomo, in ciò che è umano. Questo dobbiamo insegnare ai nostri bambini e dobbiamo insegnare loro che il nostro futuro ce lo dobbiamo creare noi, è nelle nostre mani. I miracoli non accadono da soli, devono essere provocati da ciò che noi possiamo e dobbiamo fare. In tutto questo il ruolo delle donne è fondamentale. Il mondo lo possono cambiare le donne, sono loro che hanno la forza di portare avanti questa beautiful resistence. Tutto questo però non lo si attua da soli, è una strada che deve coinvolgere sempre più persone. Occorre diffondere questa cultura non violenta fino a generare una comunità. E questo è ciò stiamo cercando di fare qui ad Aida».

Il punto di partenza, nel ragionamento di Abdelfattah, è considerare ogni persona un essere umano, con una propria fede religiosa, una propria cultura, una propria mentalità e proprie idee. Riconoscere questo è il primo fondamentale passo per cercare quella convivenza basata sull'accettazione dell'altro. Credere nell'essere umano.

«Il diritto al rientro per coloro che sono profughi è un diritto umano riconosciuto a livello internazionale», aggiunge. «Non so quando e come questo accadrà, ma so che prima o poi accadrà perché è un mio diritto. Non potrò mai rinunciare all'idea di rientrare nella terra di mio padre».

L'impegno nell'attività di Alrowwad non affievolisce la sua determinazione e la convinzione su quali siano i sui diritti e di tutti i profughi.

L'ingresso al campo di Aida è rappresentato da una porta con una grande chiave, rappresenta le chiavi di casa che tanti palestinesi hanno portato con se quando sono stati evacuati e portati nei campi profughi.

Rappresenta quella speranza nella beautiful resistence che – come dice Abdelfattah – non potrà non portare i frutti attesi.

 
 
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