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mercoledì 19 marzo 2025
 
Sport
 

Ettore Messina: "La mia Italia Nba sogna Rio. E io...".

17/02/2016  A tu per tu con Ettore Messina, primo europeo sceso sul parquet dell'All Star Game in Nba, Ct dell'Italia del basket in missione Rio: «Vorrei sfilare dietro la bandiera. Un futuro da capo in Nba? Non sono incline a sognare e non dipende da me».

L’ultima volta che gli era arrivata una chiamata così Ettore Messina aveva 33 anni e la Nazionale di pallacanestro era un treno che, magari, sarebbe passato quella volta sola: «E infatti» scherza, «mi sono lasciato condurre al patibolo, saltandoci su al volo e, ovviamente, ho commesso errori per inesperienza. Era il dicembre 1992, Messina allenava la Virtus Bologna, l’Italia era un Paese scocciato da Tangentopoli e choccato dalle stragi di mafi€a, un Ct ragazzino diceva che, almeno lì, c’era voglia di guardare avanti.

Stavolta, quando il treno dell’Italia per lui è ripassato, Messina si trovava a New York con i San Antonio Spurs, la squadra Nba che allena come vice di Gregory Popovich: geografi€camente dall’altra parte, cestisticamente al centro del mondo. Ha preso il treno in corsa, per un viaggio ad alta velocità: «Torneo preolimpico e se saremo bravi da meritarle le Olimpiadi di Rio».

Aveva sentito soffi€are voci sul suo ritorno. A dispetto della vita vagabonda (ha allenato club in Italia, Spagna, Russia e Nordamerica, vincendo molto), Messina è attento alle cose italiane non solo sportive, anzi è tra i pochi sportivi con cui è persino più interessante parlar d’altro, benché di basket, a detta del mondo intero, sappia tutto: «Sapevo che si diceva che se avessero bussato sarebbe stato alla mia porta. Ma era un se. Quando hanno chiamato ne ho parlato con mia moglie, non ho consultato gli amici: ho detto sì in 24 ore».

L’ha fatto sapendo benissimo che le panchine dell’Italia sono scomode, piene di “spunciotti” (spine, per i non emiliani), come direbbe il suo concittadino d’elezione Francesco Guccini (Messina siciliano d’origine, veneziano di formazione, è bolognese d’adozione). «Da istintivo non ho pensato un attimo di dire di no: so che il tempo è poco, che è una scommessa, per questo ho chiesto una chiamata a progetto. Se poi andremo davvero a Rio, valuteremo un dopo».

Ha deciso seguendo un sogno: «Voglio s€filare dietro la bandiera, dormire al villaggio, mangiare alla mensa con campioni da tutto il mondo, respirare spirito olimpico». Lo dice con l’aria d’un bimbo che descrive il parco giochi ideale - lui che fa dei piedi per terra un abito mentale - smentendo il luogo comune che vuole gli abitanti dello sport super professionistico insensibili al fascino a cinque cerchi.

Al sogno ricorrente di ogni viceallenatore nel campionato professionistico del Nordamerica, invece non vuole dare voce, anche se è stato, nella notte tra il 14 e il 15 febbraio il primo tecnico europeo a calpestare il parquet Nba al prestigioso All Star Game: «Non penso a diventare capo allenatore, ho un contratto con San Antonio fi€no al 2017 poi non so. Non sono un sognatore e poi, da questo punto di vista, qualunque cosa accada non dipende da me». Quando la Federbasket italiana l’ha voluto per traghettare gli azzurri €fino al Brasile: «Il primo pensiero è stato ai 18 anni passati, sono incline al malinconico. Ma ora rispetto ad allora prima di scattare ho imparato a contare, non solo €fino a uno».



IN CORSA. Un po’ per carattere, un po’ per avere imparato in Nba che 15 giorni di approfondimento bastano per impostare un campionato, a Messina non dispiace che il treno arrivi in corsa: «I giocatori non faranno in tempo a stufarsi di me. La fretta ci aiuterà a restare concentrati, senza macerarci nella paura dell’esame di maturità che arriva a luglio, al Preolimpico di Torino. Poi so bene che il favore con cui il mio nome è stato accolto durerà fi€nché dureranno i risultati. Poi si farà all’italiana, come sempre. Ma la vita mi ha insegnato, anche brutalmente, che il mondo non €finisce con la partita, che una sconfi€tta brucia molto ma è solo un graffi€o, che vincere soddisfa ma non risolve l’esistenza. Per fortuna ci sono bravi allenatori nelle giovanili capaci di farlo capire ai ragazzi».

Un modo di preservarli dal rischio che: «Perdere, quando la posta è alta, li mandi a pezzi come persone. A farti specchiare la mattina è la certezza d’aver preteso da te stesso il massimo e l’aver fatto il possibile per darlo». La sfi€da sarà «far sì che gli splendidi momenti di basket, che l’Italia ha dimostrato di saper giocare, diventino concretezza per €finalizzare le partite, senza restare ostaggi della media al tiro. Ci proveremo. Il biglietto per Rio passa anche dalla capacità che ciascuno avrà di stare nel ruolo, che in Nazionale è diverso rispetto al club: Belinelli, Bargnani, Gallinari che in Nba spesso non sono leader qui dovranno diventarlo, quelli, come Gentile, che in campionato lo sono, dovranno saper vestire un ruolo diverso». Non è automatico che con tre giocatori Nba si diventi una Nazionale da Nba, ma un Ct che è stato di qua e di là forse è quello cui ci si può af€fidare per diventarlo (in tempo per Rio).

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