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lunedì 27 marzo 2023
 
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La mia moschea, un ponte con i fratelli cristiani

14/08/2016  Parla l'imam di Catania, una delle maggiori comunità islamiche d'Italia. "Uniti sapremo sconfiggere l'odio, il nostro legame parte dal comune servizio ai poveri".

«Abbiamo rapporti consolidati: io vengo spesso invitato nelle chiese, sovente i cristiani partecipano alle cerimonie in moschea. In particolare, con i fratelli della Comunità di Sant’Egidio condividiamo una vera e propria fraternità nell’accoglienza ai profughi». Lo speciale legame è nato piangendo sulle bare dei migranti sbarcate al porto di Catania: «In molti casi non si sa neanche se sono corpi di musulmani o cristiani, ma è stato trovato un rito funebre accettato da entrambe le fedi».

A parlare così è l’imam Kheit Abdelhafid, nome importante dell’Islam italiano, presidente della Comunità islamica di Sicilia (100mila fedeli), membro del direttivo dell’Ucoii e dell’Associazione italiana degli imam e delle guide religiose. Di origini algerine, ha 47 anni e tre figli nati in Italia. Guida la moschea della Misericordia a Catania, la più grande di tutto il Meridione, inaugurata a fine 2012. «Era un vecchio teatro abbandonato, divenuto una brutta topaia – dice Emiliano Abramo di Sant’Egidio – ora è un luogo che arricchisce tutta la città da un punto di vista culturale e spirituale, è una casa di Dio in cui si aiutano i poveri».

L’11 agosto, l’imam Abdelhafid ha partecipato alla preghiera “Morire di speranza” che Sant’Egidio organizza nella Cattedrale di Catania. Insieme, musulmani e cristiani hanno ricordato i morti nel Cimitero Mediterraneo, 3.120 solo nei primi sette mesi di quest’anno (un numero in aumento rispetto al 2015, nonostante gli sbarchi siano rimasti costanti). È l’evento conclusivo della “Tre giorni senza frontiere” (9-11 agosto), la manifestazione che, tra giochi e divertimento, memoria e integrazione, ha portato oltre 800 giovani nella città etnea: centinaia di profughi dei diversi centri siciliani insieme a coetanei italiani arrivati da tutta Italia.

 

Domenica 31 luglio, insieme a 15mila musulmani italiani, lei e una delegazione della moschea avete partecipato alla Messa a Catania. Come questo gesto s’inserisce nel vostro rapporto con i cristiani della città?

Si è trattato di un gesto significativo e importante per ribadire che chi uccide in nome di Dio compie un crimine aggravato dalla bestemmia, che i veri credenti vogliono la pace e sono chiamati a costruire la civiltà del convivere. A Catania la visita di domenica s’inserisce in un rapporto consolidatosi negli ultimi anni, proprio in risposta al terrorismo e alle sue affermazioni blasfeme. La nostra frequentazione non è nuova: in particolari occasioni, i cristiani sono spesso ospiti alle nostre cerimonie, noi facciamo altrettanto nelle chiese. La collaborazione diventa fraternità nel servizio ai poveri: seguiamo diverse famiglie disagiate; ogni settimana il movimento dei Focolari svolge un bel doposcuola all’interno della moschea con i bambini del quartiere; con Avis abbiamo organizzato una campagna di sensibilizzazione per la raccolta del sangue e lo stesso abbiamo fatto per la donazione degli organi. Ma, soprattutto, in questi anni, insieme alla Comunità di Sant’Egidio e a tanti catanesi abbiamo accolto, sfamato e consolato decine di migliaia di profughi. Tra i tanti che hanno dormito in moschea, ricordo un siriano di 94 anni, in fuga dalla guerra che aveva distrutto la sua casa.

 

Nei giorni degli sbarchi numerosi la moschea diventa un grande luogo di accoglienza…

Sì, ma tutta la città si è mostrata sensibile… Non posso dimenticare un’anziana cristiana che una mattina si è presentata con tre buste di latte, scusandosi per non averne potute acquistare di più, ma promettendone altre per l’indomani. Senza l’aiuto di Sant’Egidio e di tanti catanesi, non avremmo potuto accogliere così tanti profughi: portano vestiti, ci aiutano a distribuire il cibo. Da credenti delle diverse fedi ci siamo uniti per accogliere. Questa scelta, profondamente spirituale, è diventata un valore comune: agli istigatori dell’odio abbiamo risposto divenendo istigatori dell’accoglienza. I profughi ci hanno fatto avvicinare all’unità tra i credenti e aumentato l’amicizia tra le nostre comunità, vincendo diffidenze reciproche. Il servizio ai poveri è dunque una via di dialogo interreligioso vissuto nella città, che alle volte può essere più proficuo di tanti convegni. Inoltre la nostra spiritualità è stata reciprocamente arricchita dal servizio comune: personalmente, ho imparato dagli amici di Sant’Egidio a piangere davanti alle bare di morti che non conoscevo.

 

Cosa fate quando sbarcano le salme al porto?

Le accogliamo insieme alla Comunità di Sant’Egidio, che spesso invita i più giovani della città a venire e portare un fiore. Quegli sbarchi sono momenti commoventi e duri, ma è importante essere presenti. Nei casi in cui non si conosce la religione del morto, abbiamo concordato un rito funebre comune, che tenga insieme le esigenze dei diversi credi (per esempio le bare orientate verso La Mecca, ndr); vi partecipano un sacerdote cattolico (talvolta il vescovo di Catania), un prete copto ortodosso ed io.

 

Per i cristiani questa pietà verso i morti è un atto di Misericordia, come il nome della vostra moschea…

Anche per noi musulmani. Ogni capitolo del Corano inizia con «Nel nome di Dio clemente e misericordioso»: la Misericordia è una delle caratteristiche di Dio, per noi significa «stare vicino ai poveri con il cuore» (anche per l’etimologia latina: “miser”, povero, e “cor”, cuore, ndr), non solo con il denaro ma appunto con il cuore. Sappiamo che per i cristiani quest’anno è il Giubileo della Misericordia, voluto da Francesco. Proprio per la sua predicazione su questi temi, per il suo invito a «creare ponti e non muri», da musulmani pensiamo che il Papa è un dono di Dio in questo momento.

 

La vostra moschea è stata inaugurata a fine 2012: si parla spesso del finanziamento dell’estero per i luoghi di culto musulmani, cosa ne pensate?

La moschea di Catania è stata finanziata dai musulmani di Catania e anche da fondi del Kuwait e del Qatar. Faremmo volentieri a meno dei soldi esteri, ma allora sarebbe necessario un accordo con lo Stato italiano, per esempio per l’8 per mille, come hanno diverse altre religioni. In ogni caso, è giusto chiedere il massimo della trasparenza e controlli sui soldi che arrivano dall’estero. A Catania, la costruzione della moschea è stato un lungo percorso: facemmo la prima richiesta nel 1993, fino pochi anni fa pregavamo in un sotterraneo non dignitoso e senza condizioni igieniche adeguate.

 
 
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