Il
suo è stato uno degli interventi che più ha colpito i partecipanti al convegno
missionario di Sacrofano (Roma). Ma Antonietta Potente, suora domenicana di
origine ligure, 56 anni, biblista e missionaria, è abituata a spiazzare
l’interlocutore. A cominciare dall’aspetto: minuta e fragile, è determinata
quando prende la parola.
Per quasi vent’anni ha fatto esperienza di
“Chiesa in uscita”, vivendo in Bolivia - prima a Santa Cruz de la Sierra, poi a Cochabamba – una forma di vita
comunitaria con un alcuni campesinos di etnia aymara. Con loro ha partecipato attivamente al processo di
cambiamento socio-politico che ha visto protagonisti i movimenti popolari.
Una
scelta coraggiosa e controcorrente che ben esprime il suo stile missionario,
fatto di ricerca incessante di Dio e di condivisione con gli ultimi.
Una
rivoluzione copernicana della missione, quella che la missionaria-teologa
propone, che ben si riassume nel ritornello-imperativo “camminare insieme”.
«Di
fronte alle ferite della storia - ha detto nella sua relazione – essere
missionari oggi significa fare nostre le parole di Maria di Magdala, quel
versetto che recita “Non sappiamo dove l’hanno posto” riferito a Gesù Risorto».
E ha spiegato: «Un’umile uscita mendicante di ricerca insieme agli altri è l’annuncio
più bello che oggi possiamo dare».
Dopo essere stata impegnata in varie cattedre
in Italia, da anni insegna teologia presso l’Università cattolica di
Cochabamba. Dal 2000 al 2004 è stata membro della commissione teologica della
Conferenza latinoamericana dei religiosi (Clar). Ora è in Italia per motivi di
salute.
Se
le chiedi perché è diventata missionaria, ti spiega che «un credente deve
continuare incessantemente a cercare» e «il mio desiderio era di cercare fuori
dalla mia cultura, da quello che già sapevo, dal mio contesto: tutto questo mi
ha sospinto in Bolivia».
Di quella terra e di quell’intensa esperienza –
continua - «mi rimane l’aver imparato a leggere il Mistero e la teologia in un
altro modo, mi rimane la dignità di un popolo che ha stravolto a sua situazione
senza nessun tipo di guerriglia e oggi, con tutte le fatiche e gli errori di
ogni processo di cambiamento, ha aperto una strada anche ad altri popoli. Anche
questo – sottolinea - si può leggere come un processo evangelizzatore: i poveri
non sono solo quelli che ci stanno aspettando, ma coloro che conoscono così
bene la vita da sospingerla in avanti: a noi non resta che affiancare questi
processi di cambiamento».
«La
missione – suor Antonietta ne è convinta - cambia la vita di una suora, perché esprime
la passione per la ricerca della profondità che costituisce l’essenza della
vita consacrata. Dal contatto con l’Altro e con l’altro si esce profondamente
rinnovati».
E
l’appello del Papa ai religiosi “Svegliate il mondo”? Come lo legge da
consacrata? «Io credo che sia importante risvegliarsi alla consapevolezza che
si tratta di un risveglio fatto insieme – conclude suor Antonietta -. Risvegliarci
e risvegliare gli altri: è l’unico grido evangelico in questo momento; essere
profeti oggi significa questo. In Bolivia, ad esempio, significa rendersi conto
del processo di cambiamento condotto dai movimenti popolari».