Crisi economica, disoccupazione, caroprezzi, instabilità, populismo, persino nazionalismo: non sono pochi gli effetti economici e sociali addebitati all’euro. Cosa c’è di vero? L’economista dell’Università Cattolica Andrea Boitani ne ha calcolato il vero valore nel suo ultimo saggio Sette luoghi comuni sull’economia (Laterza).
Tutta colpa dell’euro professore?
«L’euro non ha causato l’attuale crisi economica europea. Anzi, prima della crisi ha prodotto una serie di frutti positivi. Ma certo dopo lo scoppio della recessione, nel 2008, la moneta unica e l’Unione monetaria hanno ridotto la flessibilità dei Paesi membri».
Con l’euro i Paesi dell’Ue non sono più sovrani della propria moneta. E dunque non possono svalutare per favorire le esportazioni e ridurre il debito con i Paesi esteri…
«Certamente. Ma il problema vero è che questi meccanismi portano benefici solo nel breve periodo. Nel lungo periodo i problemi economici strutturali peggiorano. Di svalutazione in svalutazione si arriva al “default” del debito pubblico, come nell’Argentina del Duemila. Un altro esempio è costituito dai debiti esteri: non è che i debitori esteri si adeguano alla svalutazione senza reagire…».
Mario Draghi dice che l’euro è irreversibile. Lui però è il governatore della Banca centrale europea e ha qualche interesse a sostenerlo. Lei che ne pensa?
«La penso come lui (per Draghi ho grande stima e fiducia e non solo perché condividiamo il comune maestro, il grande economista Federico Caffè). L’uscita dall’euro, a parte i costi enormi, è del tutto illusoria. Forse funzionerebbe a breve, come ho detto, ma alla lunga sarebbe un disastro totale: la crisi e gli squilibri di finanza pubblica si aggraverebbero».
Ma allora se non riusciamo ancora a riprenderci, dopo nove anni, di chi è la colpa?
«Gli squilibri che viviamo in Europa dipendono da molte cose. In Italia ad esempio la produttività è troppo bassa, mentre in Germania i salari sono cresciuti troppo poco. La soluzione non è uscire dall’euro ma avere più Europa: istituire un bilancio federale per tutta l’Unione, coordinare le politiche monetarie a livello europeo. La risposta è un maggiore coordinamento, non una contrapposizione tra Stati. Se l’economia diventa cooperazione, anziché competizione, va meglio».
La Merkel ha parlato recentemente di un’Europa a due velocità, ma è rimasta nel vago. Significa introdurre due monete, una forte e una debole, per avvantaggiare le esportazioni?
«In quel caso sarebbe più un euro a due velocità. La formula potrebbe riguardare un’Unione a “geometria variabile”: gli Stati membri si riuniscono in gruppi di diverso grado su temi quali economia, immigrazione, difesa. Ma ci sono altre interpretazioni».
E quali?
«Creare un nucleo centrale dell’Europa, che è sostanzialmente l’area dell’euro, applicare tutte le regole dell’Unione. Istituendo una fascia di satelliti più esterni, fuori dalle regole di Maastricht e dagli altri trattati, dove vengono applicati accordi di libero scambio più o meno cogenti».
Siamo sicuri che questa soluzione porterebbe benefici all’Europa?
«Ci sarebbe maggiore coincidenza in molte decisioni, dalla politica economica all’immigrazione. Naturalmente questo significa prendere atto del fatto che l’Europa a 28 non funziona. Certo i problemi non mancherebbero perché anche dentro Eurolandia ci sono state spinte sì centrifughe. Ma l’Europa a 19 ha dimostrato di essere più coesa: farebbe da volano al processo di rinascita di questa tormentata Unione».