Che vita ha conosciuto il piccolo Giuseppe? Il suo quotidiano di violenza lo ha anche privato del porto sicuro di una mamma pronta a difenderlo. Non voglio aggregarmi al coro di condanna, ma guardarlo in faccia, tutto questo male con cui conviviamo. Dove eravamo? Dove siamo? Chiusi nei nostri individualismi, permettiamo che il male ci sorprenda illudendoci di porvi rimedio con condanne esemplari che, se pure ci vogliono, non possono acquietare le nostre coscienze. Questa creatura che ha avuto per sé solo il peggio sia per ciascuno di noi motivo di riflessione e di accorata preghiera.
D.G.
Giuseppe aveva solo 7 anni ed è stato ammazzato di botte il 27 gennaio scorso dal nuovo compagno della madre, Tony Essobti Badre, di 25 anni. La causa scatenante: aveva danneggiato il letto comprato da pochi giorni. L’11 aprile scorso è stata arrestata anche la mamma, Valentina Casa, 31 anni. Non solo non lo avrebbe difeso, ma ha fatto di tutto per nascondere le tracce delle continue aggressioni di Tony contro Giuseppe e la sorellina di 8 anni, Noemi. È stata proprio la piccola, che era arrivata quello stesso giorno in ospedale con gravi lesioni al volto e alla testa, ma che si è salvata, a rivelare quello che accadeva in casa. L’indifferenza verso questa situazione assurda tocca anche i vicini di casa, che non hanno mai segnalato nulla, e le maestre che hanno ignorato i lividi che Noemi e Giuseppe avevano quando entravano in classe.
Mi unisco anch’io all’«accorata preghiera» di cui scrive la nostra lettrice. Una vicenda che deve farci riflettere. Non solo sull’odio e sulla violenza sempre più diffusi, ma anche sull’indifferenza che ci impedisce di fare qualcosa. Il dolore innocente è un grido che sale a Dio, ma dovrebbe indurci a batterci il petto. Ai funerali del bambino, il vescovo di Pompei Tommaso Caputo ha parlato di «folle abitudine al male». Faccio mie le sue parole. Egli si è chiesto che cosa possiamo fare noi. «Dovremmo voltare le spalle, definitivamente», ha detto rivolgendosi direttamente al piccolo Giuseppe, «a ciò che ti ha portato via: il disamore, l’aggressività, il sopruso, l’insofferenza, le frustrazioni, certo. Ma non solo. Dovremmo abbandonare una sempre più diffusa cognizione del male che, per assurdo, diventa leggera, eterea, lo banalizza, lo riduce a normalità».
Foto in alto: fiori e peluche per il bimbo vittima di violenza domestica di Cardito a Napoli (Ansa)