Bruno Casoni, direttore del coro scaligero. In alto: Riccardo Chailly.
La musica sacra conquista la Scala. Non è un sorpresa: perché il nuovo sovrintendente Alexander Pereira non ha mai nascosto la sua passione per un genere della storia della musica al quale appartengono alcuni dei più grandi capolavori.
E se la Messa da Requiem di Verdi (che verrà diretta ai primi di ottobre da Riccardo Chailly in memoria di Claudio Abbado) è uno dei pezzi forti del repertorio scaligero, Die Schöpfung (la Creazione) di Franz Yoseph Haydn nella versione integrale in 3 parti affidata alla bacchetta di Zubin Metha (29 e 30 settembre) è una chicca raramente programmata per la sua complessità: in particolare in Teatro manca da 20 anni (la diresse Riccardo Muti). La grandiosa Missa solemnis di Beethoven fu proposta addirittura 30 anni fa: sul podio salì Carlo Maria Giulini (e venne anche eseguita in Duomo). Philippe Jordan ne esplorerà misteri e grandezza il 21 dicembre prossimo.
La Creazione apre anche la lunga stagione sinfonica: “È un miracolo che anticipa Beethoven ed addirittura Wagner”, sottolinea Zubin Metha: “ogni episodio è straordinario, difficile, con un’aura quasi impressionista. Ma devo dire che si ammira molto anche l’ingenuità di Haydn, la sua fede pura e semplice”. Un concetto ribadito anche da Pereira: “Mi commuovo tutte le volte che l’ascolto. E’ quasi naif il rapporto di Haydn con Dio. Ed è un capolavoro al quale sono particolarmente legato. Una mia ava ne finanziò la prima esecuzione assoluta, pagando 600 esecutori che suonarono in quella che oggi è la sede della Scuola di equitazione di Vienna”. “Noi invece la faremo con un organico più ristretto”, specifica Metha, il cui rapporto strettissimo con la Scala risale al 1972.
Ma grande protagonista delle 3 serate dedicate al sacro è il Coro scaligero, che Bruno Casoni ha portato ad un livello universalmente apprezzato: “C’ero in occasione dell’ultima Missa di Beethoven - ci racconta - essendo allora collaboratore del maestro Bertola. L’abbiamo preparata insieme ed eseguita anche per i 600 anni del Duomo di Milano. E’ la fatica vocale richiesta il primo aspetto che contraddistingue queste tre pagine. In particolare la Missa di Beethoven per le estensioni che richiede “spacca” le gole dei coristi. Capita di ascoltare delle bellissime esecuzioni, che iniziano stupendamente, ma nelle quali già al Credo si avverte la fatica vocale del coro. Del resto anche la Nona di Beethoven non è scritta per facilitare le cose: ma dura pochi minuti e non quasi due ore. Dobbiamo dire che il nostro Coro, in fatto di muscolatura vocale, è più che a posto, con una tenuta notevole. Quando mi è stata proposta la Missa però ero preoccupato: visto che è preceduta dalla Creazione di Haydn, che richiede una vocalità completamente diversa che si avvicina allo stile barocco. Del resto come dico sempre ai miei artisti, la loro grande capacità è quella di passare da uno stile all’altro in continuazione. E poi non dimentichiamoci che stiamo anche lavorando sul Fidelio beethoveniano dell’inaugurazione”.
Altro pezzo da novanta per il coro, aggiungiamo noi. “Devo dire che
stanno affrontando questa impresa con molto entusiasmo ed interesse”. Si
dice spesso che l’orchestra deve cambiare il “colore” per passare da un
autore all’altro. Ma è una questione tecnica di uso degli strumenti. Ma
per il coro cosa succede? “Beh, come ripeto il problema è il passaggio
dall’opera lirica al repertorio ottocentesco ed a quello settecentesco:
tutti mondi diversi. E diversi modi di cantare. Per esempio con le
Passioni di Bach è molto difficile, anche perché occorre addirittura
cambiare l’intonazione, che è più bassa”.
Quanto serve al Coro
l’esperienza della musica lirica? “Diciamo che con lirica noi
intendiamo un’esperienza molto estesa: che comprende anche autori come
Mozart o Spontini. Siamo la Scala ed abbiamo la responsabilità di
ottenere un buon risultato. Cosa che è successo per esempio con Purcell.
Dobbiamo dunque adattarci alla nuova impostazione. Ma il colore per
fare un Requiem il Coro della Scala l’ha. Mentre è più difficile che un
coro sinfonico si adatti alla lirica ed al palcoscenico”.
La Missa è un
capolavoro davanti al quale molti grandi direttori si sono arresi. Cosa
rappresenta per il Coro? “Le intenzioni di Beethoven appaiono chiare. Ma
ci sono pagine nelle quali l’armonia è inafferrabile, complessa, non
prevedibile. Beethoven non aiuta l’orecchio dei coristi”. Era un
visionario? “Sì, anche se in quanto ad estrosità solo Berlioz è più
complicato di Beethoven. Lì le regole non esistono più….”.