La tromba marina che ha flagellato Salerno il 20 novembre. In alto: i danni causati dal forte maltempo dei giorni scorsi in Val Pettorina, nel Bellunese (Foto Ansa)
Le piogge e le devastazioni di questi mesi? Gli incendi apocalittici e le trombe d’aria? «Se non agiamo subito le conseguenze saranno molto più drammatiche di quanto abbiamo sperimentato finora: solo noi in Europa oggi consumiamo come se avessimo a disposizione 1,7 pianeti». Peter Pavlocic non è un catastrofista. Laureato in teologia e in fisica, guida la rete ecumenica europee delle Chiese cristiane per l’ambiente (Ecen). Il suo intervento al convegno promosso dall’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei ha dato ragione di un impegno che negli ultimi decenni è diventato centrale nel dialogo ecumenico, creando una vera e propria lobby, diffusa a macchia di leopardo, che sia a livello nazionale che mondiale fa sentire la sua voce nei consessi che decidono sul futuro del pianeta.
«Non è solo una tematica “verde”, ma implica un discorso economico, di giustizia ecologica, di stili di vita. E le Chiese hanno il compito di dire che c’è bisogna di scelte dure e difficili». «Abbiamo lottato fino a oggi per la giustizia sociale. Ora ci stiamo rendendo sempre più conto che la giustizia sociale è strettamente legata alla giustizia nel Creato», ha detto monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo.
800milioni di poveri, 600milioni di obesi, 700 milioni di persone senza acqua pulita, 166 milioni di migranti climatici tra il 2008 e il 2013, che nei prossimi decenni diventeranno 250 milioni: «La storia parlerà di questa generazione: saremo coloro che o sono andati verso lo schianto o lo hanno evitato», ha sottolineato, cifre alla mano, il professor
Enrico Giovannini, docente di statistica economica portavoce dell’alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis).
GIUSTIZIA SOCIALE E GIUSTIZIA NEL CREATO
“Act now”, agire subito, è stato il filo rosso degli interventi della tre giorni milanese, che ha visto la partecipazione di circa 300 persone, intitolata “Il tuo cuore custodisca i miei precetti. Un creato da custodire da credenti responsabili, in risposta alla parola di Dio”, realizzata in collaborazione con diverse Chiese cristiane presenti in Italia e con la partecipazione di una rappresentanza della comunità ebraica e di quella musulmana.
Il discorso ecologico non è dunque qualcosa di tangenziale alla Chiese, perché «la cura del creato è parte integrale della fede cristiana», sostiene Pavlovic. Basti pensare al cuore dei due termini – ecumene ed ecologia - , entrambi derivanti dalla parola “casa” òikos, ha fatto notare il presidente del Segretariato per le attività ecumeniche (Sae), Piero Stefani: «Nei due termini c’è l’idea di casa, cioè qualcosa che si costruisce. I tempi della consacrazione della casa non dipendono da noi, ma dallo Spirito, a noi il compito di lavorare. Perché la custodia non è fare vigilanza, ma mettere in pratica, operare».
La consapevolezza di essere giunti su un crinale della vicenda del pianeta che chiama in causa la responsabilità delle Chiese - «Il nostro compito è essere profeti, senza dimenticare come i profeti di giustizia sociale e cosmica non hanno trovato ascolto. È nostra responsabilità educare a prendere coscienza del dramma e dell’urgenza», fa osservare don
Giuliano Savino, presbitero ambrosiano, da pochi mese nominato direttore dell’ufficio Cei per l’ecumenismo, - fa dire al teologo riformato
Jürgen Moltmann, nel video di saluto ai convegnisti, che il cambiamento deve coinvolgere teologia e spiritualità. «Tradizionalmente la spiritualità cristiana si è orientata verso l’adilà: siamo ospiti su questa terra, siamo di passaggio e quindi ci sentiamo autorizzati a prendere quel che ci serve. Ma se invece siamo figli di questa terra allora dobbiamo finirla con lo sfruttamento della nostra terra madre» dice Moltmann, che parla di «una nuova spiritualità dell’al di qua, una spiritualità dei sensi: toccare annusare e vedere Dio in tutte le cose» e «impegnarci per difendere la natura dalla distruzione, dal riscaldamento globale che non sommergerà solo Miamar» ma anche le nostre città.
QUATTRO BUONE PRATICHE
Sono quattro le buone pratiche per una nuova prassi, dice all’assemblea il teologo Simone Morandini: dobbiamo formarci all’ascolto, cioè intendere con competenza il linguaggio delle scienze ambientali e dell’economia, non l’uno senza l’altro. Poi imparare a custodire il futuro, nel senso di custodire le realtà qualificanti che abbiamo ricevuto, la varietà della vita, per salvaguardare il futuro delle generazioni a venire. Occorre, inoltre, cogliere il senso dell’urgenza, perché il tempo rimasto è poco, non ci sono condoni possibili, non si può barare. «La Pira ricordava che viviamo si un crinale, tra la costruzione di un buon futuro e l’apocalissi». Infine coltivare e celebrare il creato. Le Chiese dono quindi acquisire le competenze, dice Morandini, ed è importante che alcune università Pontificie come la Gregoriana e l’Antonianum abbiano varato dei master proprio su queste tematiche. Ma poi, occorre, che in quanto soggetti di consumo le Chiese si educhino su questi temi perché per «la loro presenza pervasiva sul territorio hanno la possibilità di provocare cambiamento».
LE TAPPE DI UN CAMMINO
Oltre a fare memoria del cammino che le Chiese stanno facendo insieme da qualche decennio su questi temi, a partire dalle assemblee del Consiglio Mondiale delle Chiese, la prima a Vancouver nel 1983, alle tre assemblee delle Chiese europee (Basilea nell’89, Graz ’97, Sibiu 2007), dedicate proprio alla salvaguardia del creato e da cui poi è nato il gruppo di attenzione al creato, l’Ecen, alcuni interventi hanno messo in luce il cammino fatto da alcune Chiese. In particolare da più parti si è sottolineato come il Patriarcato di Costantinopoli sia stato un pioniere su questi temi grazie al patriarca ecumenico Dimitrios, che nel 1989 ha lanciato la Giornata del creato, poi ripresa e continuata da Bartolomeo e allargata alle altre Chiese.
E approfondita ogni anno con un convegno internazionale che coinvolge uomini di fede e scienziati su una tematica particolare. “Bartolomeo intende il servizio alla causa ecologica come diaconia verso tutti i cristiani e tutti gli uomini: il mondo creato non è nostro possesso, ma un dono da accettare e offrire al padre con spirito eucaristico», ha spiegato padre Sergio Mainoldi, del Patriarcato ecumenico. Il patriarca di Costantinopoli interpreta la vocazione cristiana alla luce della custodia del creato. Un termine, custodia, al quale la teologia cristiana femminile preferisce quello di interdipendenza, rileva la pastora Letizia Tomassone, perché il primo implica un concetto paternalista di superiorità di una parte sull’altra.«La bellezza del creato non può che condurre alla conoscenza di Dio e viceversa. Chi conosce Dio comprende la bellezza della creazione»: è il cuore della teologia della Chiesa ortodossa russa. Padre Ambrogio Matsegora, vicario generale del Patriarcato di Mosca in Italia, è da sette a Roma per un programma di scambio studenti tra Santa Sede e il Patriarcato russo. Padre Ambrogio, che ha 30 anni, sta concludendo il suo dottorato presso l’istituto patristico Agostinianium.
«Già in precedenza si era accennato al tema dell’ambiente, ma è stato nel 2015 che il Santo Sinodo ha fatto un documento su questa specifica tematica. E sono numerosi gli approfondimenti che di gruppi laici hanno realizzato per capire come fronteggiare in concreto l’emergenza, mettendo intorno a un tavoli scienziati, teologi, industriali; la Russia è uno dei più grandi paesi industriali e ha una responsabilità chiave per risolvere questi problemi, e quindi anche la posizione della Chiesa russa è fondamentale», dice padre Ambrogio. Eppure, aggiunge, «la crisi ecologica è poco fruttuosa se distaccata dalla lotte alle cause ch la provocano, che sono cause spirituali». Una riflessione molto comune nell’ortodossia, che richiama quanto detto nel suo saluto video iniziale anche dal patriarca Bartolomeo.
MOSCA E COSTANTINOPOLI
Proprio con Costantinopoli, sul fronte interno all’ortodossia, per la nascita della chiesa aucocefale in Ucraina, Mosca è ai ferri corti. Padre Ambrogio come sta vivendo lo scisma in atto e in concreto cosa significa per le relazioni tra le Chiese in Italia? «La situazione è in divenire, non possiamo definirla ancora scisma definitivo. Viviamo alcune tensioni, ci sono passi che noi consideriamo pochi amichevoli e canonici da parte del patriarcato di Costantinopoli in Ucraina, ma su questo i rappresentanti ufficiali della Chiesa russa già si sono pronunciati e non mi dilungo. In concreto qui accade che, in seguito alla delibera del Santo Sinodo del 15 ottobre, non partecipiamo più alla conferenza episcopale ortodossa in Italia, perché è presieduta dal metropolita Costantinopolitano, Ghennadios di Venezia; i nostri sacerdoti non possono concelebrare i sacramenti con i rappresentanti del patriarcato di Costantinopoli.Quanto a ciò che provo, come cristiano che ha studiato per tutta la sua vita la storia e la teologia della Chiesa, sono ben consapevole che non è il primo caso di una crisi di genere e purtroppo non sarà neanche l’ultimo. Nel secolo scorso un problema simile si è creato con la Chiesa di Estonia, abbiamo interrotto i rapporti eucaristici con Costantinopoli, ma poi dopo parecchi decenni la situazione si è chiarita. Anche recentemente i due patriarcati di Antiochia e Gerusalemme hanno interrotto le relazioni a causa di una sola parrocchia. Purtroppo questi problemi ritornano. Ma come ha detto un teologo, mio caro amico, nei momenti di questo tipo, nelle vele della nostra barca dobbiamo lasciare spazio al respiro dello Spirito Santo».
Ed è allo Spirito che nella preghiera serale a sant’Ambrogio i cristiani riuniti, nella veglia a cui ha partecipato anche l’arcivescovo di Milano,
Mario Delpini, hanno chiesto perdono per le ferite provocate alla madre terra. «Signore, ti chiediamo perdono per aver riempito l’aria di scarichi inquinanti», per «aver trasformato il fuoco, la luce, il calore in un’arma distruttrice». «Ti chiediamo perdono per lo spreco che facciamo ogni giorno dell’acqua e per tutte le volte che sentendo parlare di fame e di guerre nel mondo abbiamo pensato che non ci riguardassero e abbiamo continuato a mantenere i nostri steccati, mentre il mondo fissava alla nostra porta». A pregare tra canti copti e cattolici, scambi della pace, letture bibliche e silenzi gli oltre 300 partecipanti al convegno. A dar loro il benvenuto l’archimandrita
Teofilatto Vitsos, presidente del Consiglio della Chiese cristiane di Milano.
COLLABORAZIONE E PARTNERSHIP
È interessante che durante il convegno sia venuta fuori l’urgenza di una collaborazione anche in casa cattolica tra gli uffici per l’ecumenismo e quello per la pastorale sociale e del lavoro, che da tempo sta lavorando su questi temi, a partire dalla campagna sul disinvestimento dai combustibili fossili - carbone, petrolio e gas -, che sono la causa principale delle emissioni di gas a effetto serra; al supporto alla Rete interdiocesana per i nuovi stili di vita, che ha promosso interessanti percorsi concreti, come la “Guida per comunità e parrocchie ecologiche”, con consigli su come ridurre le emissioni, motivare e coinvolgere i parrocchiani sui temi ambientali; modi per esercitare la solidarietà e l'advocacy per i più bisognosi; presentazione di una serie di buone pratiche (il testo è on line sul sito della Federazione organismi cristiani servizio internazionale di volontariato (www.focsiv.it).
«È importante condividere le buone pratiche, perché la cura per il creato si è sviluppata con modalità e velocità diverse nelle Chiese e ora, di fronte alle nuove sfide drammatiche che ci troviamo a fronteggiare, avere un network di esperienze è di grande aiuto», aggiunge Peter Pavlocic, che racconto come a livello europee uno dei programmi che sta avendo più successo nelle rete Ecen per l’ambiente, sia una sporta di gemellaggio - twinnig partenership – tra una Chiesa, una comunità che ha esperienze significative in questo campo e un partner che ha idee e voglia di impegnarsi ma è senza esperienze. Fa l’esempio del progetto partito due anni fa tra la Chiesa di Scozia e quella riformata dell’Ungheria. «Diplomi in eco-management, celebrazioni del tempo del creato, materiali per l’educazione religiosa a partire dalla custodia del creato,seminari, workshop, pellegrinaggi per Cop 21, verso Parigi. Insomma la relazione partita da queste due Chiese, in Ungheria si è ampliata a livello ecumenico con le altre Chiese cristiane e ora si sta lavorando su tanti altri temi. E la chiesa di Scozia ha imparato molto a sua volta, in termini di spiritualità, di approccio ecumenico, dalla Chiesa di Ungheria. Una partnership che è andata oltre il legame sul creato».
Una buona pratica è stata sicuramente lo scambio di esperienze effettuate la seconda sera del convegno nella chiesa di san Martino in Greco dove, prima di una visita al Refettorio ambrosiano, il direttore della caritas ambrosiana,
Luciano Gualzetti, il veterinario
Emanuele De Gasperis della Chiesa battista e l’archimandrita
Athenagoras Fasiolo, hanno raccontato all’assemblea l’impegno per la giustizia e il creato a partire rispettivamente dall’accoglienza dei migranti, dalle lotta contro l’inquinamento e le malattie provocato dall’Ilva a Taranto, dal’attenzione alle acque e alla natura che in questi decenni ha visto protagonista Bartolomeo.
FRANCESCO E LA LAUDATO SI’
Quanto al magistero della Chiesa cattolica, durante il convegno si è ricordato che prima dell’enciclica di papa Francesco già c’era stato un messaggio della pace di Giovanni Paolo II del ’90, intitolato “Pace con Dio creatore e con tutto il creato”, ma evidentemente il contributo definitivo è arrivato proprio con la Laudato si’, testo imprescindibile per ogni discorso sulla salvaguardia del creato a ogni livello. Lo ha richiamato con convinzione il professor Giovannini, che anzi ha dichiarato: «Come cattolico sono dispiaciuto che la Chiesa italiana non sia balzato sulla Laudato si’ per diffonderla. Non si ha il senso dell’urgenza. Pure, come dice il Papa nell’Evangeli Gaudium, il tempo è superiore allo spazio. Occorre avviare processi che durino, e il tempo è oggi».
Di fronte a uno scenario urgente, tra chi ha un atteggiamento distopico, “mi salvo da solo” «come i ricconi della silicon valley che costruiscono bunker in Nuova Zelanda»; e chi sogna un ritorno al passato per fuggire all’incubo futuro; la terza via, proposta da Giovannini, è «l’utopia sostenibile: è l’agenda 2030 in cui si sono ritrovati i paesi di tutto il mondo, con i 17 macrobiettivi che guardano a una visione dello sviluppo secondo i tre principi guida integrazione, universalità e partecipazione». Lo slogan? “Che nessuno resti indietro lo slogan”, condiviso da cristiani, donne e uomini di buona volontà.