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sabato 14 settembre 2024
 
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La buona notizia? Si trova sempre, basta cercarla

16/06/2021  Quante volte ci siamo scordati di raccontare tutto il bene che si cela in eventi e contesti negativi? Eppure le "good news" fanno aumentare le tirature, come accade da anni al "Guardian" e al "New York Times". Ma i primi a scoprirlo furono gli evangelisti. Dal libro di Alberto Laggia, dal titolo "Notizia" (Edizioni il Messaggero di Padova), dedicato all'informazione

Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo un estratto del saggio di Alberto Laggia, inviato speciale e firma storica di Famiglia Cristiana, dal titolo Notizia (Edizioni Messaggero di Padova)

È vero che il buon giornalismo dovrebbe es­sere quello che fa da “watchdog”, come dicono gli americani, «il cane da guardia del potere», il cui compito irrinunciabile è scovare corru­zione e malaffare, sventando i pericoli per la democrazia e la libertà, come la famosa «vedet­ta» della metafora marinara di Pulitzer. Tutto giusto. Da manuale del perfetto giornalista. Altra cosa, tuttavia, è l’ossessione crescen­te e patologica per le cose che non vanno, che trasforma sempre più spesso notiziari e pagine di quotidiani in sequenze infinite di fatti allu­cinanti, deprimenti, sconsolanti. Il rischio di fronte all’onda anomala del male o presunto tale è quello di arrendersi alla rassegnazione, all’indifferenza. O alla paura e all’odio. D’altra parte, lo abbiamo visto, il negativo ci attrae: bad news is good news, s’è detto. Ma anche il Vangelo consiglierebbe «a ciascun giorno ba­sta la sua pena». Quanta drammatizzazione del reale e dosi da cavallo di negatività riempio­no cronache ed editoriali, prospettando chissà quali «inferni» e mondi in fiamme? Quante notizie, più vicine a una mediocre catastrophic fiction che a una seria inchiesta giornalistica leggiamo o sentiamo in un solo giorno?

Tutto ciò ha a che fare con la mistificazione e il «furto della speranza». A dar retta solo a queste notizie, che senso avrebbe impegnarsi per un mondo migliore, più sostenibile, esse­re corretti con il fisco, rispettare la natura, o fare volontariato? Che senso hanno sentimenti come la solidarietà o l’empatia? Se, per esempio, si continua a ripetere che l’Italia è un paese «invaso» da clandestini de­diti solo a spaccio e violenze e poi ammorbo giornali e social con notizie di cronaca nera che hanno come protagonisti in negativo solo cit­tadini stranieri, ben evidenziati fin dai titoli, qualcuno penserà di doversi chiudere in casa, sentendosi assediato, e magari qualcun altro, più incline al rambismo, inizierà a pensare di farsi giustizia da sé. Da un’indagine dell’Isti­tuto Cattaneo, realizzata nel 2018, emergeva che l’Italia era il paese europeo con la maggior discrepanza fra la vera percentuale di immigra­ti presenti dentro i nostri confini e l’immigra­zione «percepita» (con una differenza di ben 17 punti). È evidente che una certa stampa partigiana ha continuato a fare da amplifica­tore agli allarmi, gonfiati ad arte, lanciati da qualche partito in cerca di facili consensi. Il resto lo hanno fatto i social network.

È comunque un abbaglio enorme pensare che le «notizie serie» debbano per forza essere solo quelle che ci dicono cosa «non va». Il vero «cane da guardia» abbaia solo quando serve davvero, e non a ogni cosa che vede agitarsi davanti a sé. «Quello che i media non stanno metten­do abbastanza in evidenza sono i germogli di resilienza che spuntano anche nelle situazio­ni più difficili», scrive la sociologa Chiara Giaccardi. Non si tratta di imporre una banale «quota rosa» di buone notizie ma di cercare di restituire una complessità ricca e dinamica, in movimento, che spieghi il reale. Non si tratta di bilanciare pessimismo con ottimismo, com­battendo il primo con il secondo, ma di resti­tuire l’impasto di vita e di morte. Quello che serve è un nuovo sguardo che renda ragione del contesto. E magari trovare gemme di bene anche nelle situazioni più drammatiche. «Dal letame nascono i fior», cantava Fabrizio De Andrè.

In un’inchiesta sulla malasanità in Calabria e sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel siste­ma sanitario, fa differenza o no ricordare che esistono anche delle «eccellenze» specialistiche? Segnalare anche le positività non toglie forse l’alibi a qualcuno per dire che è inutile impe­gnarsi per cambiare le cose, che si è sempre fatto così? Sono andato, da inviato, in Bosnia, per raccontare cosa accade lungo la «Rotta bal­canica» e il dramma dei migranti ammassati e respinti ai confini. Se avessi omesso di dire quanto stavano facendo le organizzazioni uma­nitarie in quei posti, avrei svolto del tutto il mio dovere? Io credo di no. Ma quante volte, presi dall’indignazione e dalla rabbia di fronte a drammi o ingiustizie, abbiamo scordato di segnalare quella storia di resistenza e di speran­za scovata in quel contesto infernale?

Il bene, a cercarlo, c’è sempre. Basta vo­lerlo raccontare, darne notizia. Da tempo, a onor del vero, testate giornalistiche, program­mi tv e, più di recente, siti informativi e blog, si occupano delle «buone notizie», o hanno inaugurato vere e proprie sezioni dedicate al buono che c’è nel mondo. E non certo per buonismo. Il buonista eufemizza la realtà, per non rivelarne il lato patologico. Nascon­de quando dovrebbe denunciare, gira la testa dall’altra parte, al posto di guardare dritto ne­gli occhi il guasto. In altro modo mistifica, nel senso letterale di «rendere misterioso il reale», cioè lo nasconde. (…). Il primo a lanciarsi, tra le grandi testate, verso il «giornalismo co­struttivo» è stato, senza dubbio, «The Guar­dian»: nel 2016 ha inaugurato un progetto pi­lota per raccontare le buone notizie dal mondo e ha registrato i comportamenti dei lettori. Il responsabile dell’iniziativa, Mark Rice-Oxley, dopo la pubblicazione di 150 articoli, ha di­chiarato: “Quando scriviamo di qualcosa che funziona acca­de una cosa bizzarra: le persone lo notano. Le buone notizie vengono lette fino alla fine, vengono condivise e generano un effetto positivo e di benessere sui social media. Poi le persone ci scrivono per ringraziarci”. Risultato? Il quotidiano inglese ha deciso di aprire una sezione dedicata alle buone no­tizie, che si chiama The Upside, «il lato positi­vo»: «Giornalismo che cerca risposte, soluzioni, movimenti e iniziative per affrontare i maggiori problemi che affliggono il mondo», precisa il quotidiano.

Un altro esempio di giornalismo «edificante», nel senso che «costruisce» comunità, è la rubri­ca Fixes del «New York Times», che esamina le 140 soluzioni ai problemi sociali e il motivo per cui funzionano. In Italia, di recente, s’è mosso il «Corriere della Sera» con l’inserto Buone Notizie. Tante sono le pubblicazioni e i siti nati «co­struttivi». È il caso di «Positive.News», rivista online che ha come motto: «Stacca la spina dal destino e dall’oscurità e guarda le notizie posi­tive stampate». (…) «Famiglia Cri­stiana» e «Avvenire», da sempre, accanto alla denuncia e alle inchieste sociali, ospitano sto­rie di speranza. E per passare alla tv, ideato come programma «costruttivo» è Unomattina di Rai1, e la rubrica TG1 Dialogo. Sulla necessità di un giornalismo positivo è in­tervenuto anche papa Francesco in più occasioni: “Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle noti­zie, per dar voce a chi non ce l’ha; di raccontare le «buo­ne notizie» che generano amicizia sociale di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi”. D’altra parte, il cristianesimo in se stesso sorge da una sorprendente «notizia»: evange­lion (dal greco εὐαγγέλιον) significa proprio «buona notizia». Tutto ha inizio da quell’an­nuncio, da quella «novella», una buona news che può dare «senso» alla storia. «Cerco fatti di Vangelo» titola emblematicamente il blog del giornalista Luigi Accattoli.

Notizia

Come riconoscere le notizie da false da quelle vere? È ancora possibile un giornalismo di qualità? L'autore conduce il lettore in un viaggio nel tempo, da quando nasce il concetto di notizia, fino all'odierna società dell'informazione, per scoprire che da sempre l'informazione, per suo stesso statuto, mette "in forma" il mondo in modo tale da poterlo raccontare. Ma a questa "manipolazione" necessaria, fin da subito si sono giustapposte altre manipolazioni pericolose, capaci di corrompere i contenuti e, alla fine, minare la fiducia nella veridicità dei fatti.

 
 
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