Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo un estratto del saggio di Alberto Laggia, inviato speciale e firma storica di Famiglia Cristiana, dal titolo Notizia (Edizioni Messaggero di Padova)
È vero che il buon giornalismo dovrebbe essere quello che fa da “watchdog”, come dicono gli americani, «il cane da guardia del potere», il cui compito irrinunciabile è scovare corruzione e malaffare, sventando i pericoli per la democrazia e la libertà, come la famosa «vedetta» della metafora marinara di Pulitzer. Tutto giusto. Da manuale del perfetto giornalista. Altra cosa, tuttavia, è l’ossessione crescente e patologica per le cose che non vanno, che trasforma sempre più spesso notiziari e pagine di quotidiani in sequenze infinite di fatti allucinanti, deprimenti, sconsolanti. Il rischio di fronte all’onda anomala del male o presunto tale è quello di arrendersi alla rassegnazione, all’indifferenza. O alla paura e all’odio. D’altra parte, lo abbiamo visto, il negativo ci attrae: bad news is good news, s’è detto. Ma anche il Vangelo consiglierebbe «a ciascun giorno basta la sua pena». Quanta drammatizzazione del reale e dosi da cavallo di negatività riempiono cronache ed editoriali, prospettando chissà quali «inferni» e mondi in fiamme? Quante notizie, più vicine a una mediocre catastrophic fiction che a una seria inchiesta giornalistica leggiamo o sentiamo in un solo giorno?
Tutto ciò ha a che fare con la mistificazione e il «furto della speranza». A dar retta solo a queste notizie, che senso avrebbe impegnarsi per un mondo migliore, più sostenibile, essere corretti con il fisco, rispettare la natura, o fare volontariato? Che senso hanno sentimenti come la solidarietà o l’empatia? Se, per esempio, si continua a ripetere che l’Italia è un paese «invaso» da clandestini dediti solo a spaccio e violenze e poi ammorbo giornali e social con notizie di cronaca nera che hanno come protagonisti in negativo solo cittadini stranieri, ben evidenziati fin dai titoli, qualcuno penserà di doversi chiudere in casa, sentendosi assediato, e magari qualcun altro, più incline al rambismo, inizierà a pensare di farsi giustizia da sé. Da un’indagine dell’Istituto Cattaneo, realizzata nel 2018, emergeva che l’Italia era il paese europeo con la maggior discrepanza fra la vera percentuale di immigrati presenti dentro i nostri confini e l’immigrazione «percepita» (con una differenza di ben 17 punti). È evidente che una certa stampa partigiana ha continuato a fare da amplificatore agli allarmi, gonfiati ad arte, lanciati da qualche partito in cerca di facili consensi. Il resto lo hanno fatto i social network.
È comunque un abbaglio enorme pensare che le «notizie serie» debbano per forza essere solo quelle che ci dicono cosa «non va». Il vero «cane da guardia» abbaia solo quando serve davvero, e non a ogni cosa che vede agitarsi davanti a sé. «Quello che i media non stanno mettendo abbastanza in evidenza sono i germogli di resilienza che spuntano anche nelle situazioni più difficili», scrive la sociologa Chiara Giaccardi. Non si tratta di imporre una banale «quota rosa» di buone notizie ma di cercare di restituire una complessità ricca e dinamica, in movimento, che spieghi il reale. Non si tratta di bilanciare pessimismo con ottimismo, combattendo il primo con il secondo, ma di restituire l’impasto di vita e di morte. Quello che serve è un nuovo sguardo che renda ragione del contesto. E magari trovare gemme di bene anche nelle situazioni più drammatiche. «Dal letame nascono i fior», cantava Fabrizio De Andrè.
In un’inchiesta sulla malasanità in Calabria e sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel sistema sanitario, fa differenza o no ricordare che esistono anche delle «eccellenze» specialistiche? Segnalare anche le positività non toglie forse l’alibi a qualcuno per dire che è inutile impegnarsi per cambiare le cose, che si è sempre fatto così? Sono andato, da inviato, in Bosnia, per raccontare cosa accade lungo la «Rotta balcanica» e il dramma dei migranti ammassati e respinti ai confini. Se avessi omesso di dire quanto stavano facendo le organizzazioni umanitarie in quei posti, avrei svolto del tutto il mio dovere? Io credo di no. Ma quante volte, presi dall’indignazione e dalla rabbia di fronte a drammi o ingiustizie, abbiamo scordato di segnalare quella storia di resistenza e di speranza scovata in quel contesto infernale?
Il bene, a cercarlo, c’è sempre. Basta volerlo raccontare, darne notizia. Da tempo, a onor del vero, testate giornalistiche, programmi tv e, più di recente, siti informativi e blog, si occupano delle «buone notizie», o hanno inaugurato vere e proprie sezioni dedicate al buono che c’è nel mondo. E non certo per buonismo. Il buonista eufemizza la realtà, per non rivelarne il lato patologico. Nasconde quando dovrebbe denunciare, gira la testa dall’altra parte, al posto di guardare dritto negli occhi il guasto. In altro modo mistifica, nel senso letterale di «rendere misterioso il reale», cioè lo nasconde. (…). Il primo a lanciarsi, tra le grandi testate, verso il «giornalismo costruttivo» è stato, senza dubbio, «The Guardian»: nel 2016 ha inaugurato un progetto pilota per raccontare le buone notizie dal mondo e ha registrato i comportamenti dei lettori. Il responsabile dell’iniziativa, Mark Rice-Oxley, dopo la pubblicazione di 150 articoli, ha dichiarato: “Quando scriviamo di qualcosa che funziona accade una cosa bizzarra: le persone lo notano. Le buone notizie vengono lette fino alla fine, vengono condivise e generano un effetto positivo e di benessere sui social media. Poi le persone ci scrivono per ringraziarci”. Risultato? Il quotidiano inglese ha deciso di aprire una sezione dedicata alle buone notizie, che si chiama The Upside, «il lato positivo»: «Giornalismo che cerca risposte, soluzioni, movimenti e iniziative per affrontare i maggiori problemi che affliggono il mondo», precisa il quotidiano.
Un altro esempio di giornalismo «edificante», nel senso che «costruisce» comunità, è la rubrica Fixes del «New York Times», che esamina le 140 soluzioni ai problemi sociali e il motivo per cui funzionano. In Italia, di recente, s’è mosso il «Corriere della Sera» con l’inserto Buone Notizie. Tante sono le pubblicazioni e i siti nati «costruttivi». È il caso di «Positive.News», rivista online che ha come motto: «Stacca la spina dal destino e dall’oscurità e guarda le notizie positive stampate». (…) «Famiglia Cristiana» e «Avvenire», da sempre, accanto alla denuncia e alle inchieste sociali, ospitano storie di speranza. E per passare alla tv, ideato come programma «costruttivo» è Unomattina di Rai1, e la rubrica TG1 Dialogo. Sulla necessità di un giornalismo positivo è intervenuto anche papa Francesco in più occasioni: “Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dar voce a chi non ce l’ha; di raccontare le «buone notizie» che generano amicizia sociale di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi”. D’altra parte, il cristianesimo in se stesso sorge da una sorprendente «notizia»: evangelion (dal greco εὐαγγέλιον) significa proprio «buona notizia». Tutto ha inizio da quell’annuncio, da quella «novella», una buona news che può dare «senso» alla storia. «Cerco fatti di Vangelo» titola emblematicamente il blog del giornalista Luigi Accattoli.