Non più assessorato “alla famiglia”, ma “alle famiglie” (al plurale). E' questa una delle prime novità introdotte a Torino dalla giunta di Chiara Appendino, la neo-sindaca del Movimento 5 Stelle, appena insediatasi a Palazzo Civico dopo una vittoria tanto eclatante quanto inattesa, destinata a sconvolgere in profondità equilibri politici consolidati. Il termine “famiglie” comparirà anche in tutti gli atti amministrativi di pertinenza del Comune, compresi i moduli per le iscrizioni negli asili nido. Si tratta, in sé, di un semplice atto formale, ma è indicativo di una mentalità ed è tanto più emblematico perché posto all'inizio del mandato di governo. L'idea è chiara: un nome al plurale per un “Comune al plurale”, che accanto alla famiglia tradizionale consideri anche tutte le altre forme di unioni, comprese quelle tra persone omosessuali.
Non è un caso che il provvedimento sia stato fortemente voluto dal neo-assessore alle pari opportunità, Marco Giusta, fino a pochi giorni fa presidente dell'Arcigay torinese. «Si tratta di un mutamento di approccio, che però» ha precisato lo stesso Giusta in un'intervista al quotidiano La Repubblica «riguarda migliaia di famiglie, non soltanto quelle omosessuali». Stiamo andando verso la dicitura adottata a Bologna, “genitore 1, genitore2”, che tanto ha fatto discutere? E' ancora presto per dirlo. Di sicuro c'è chi plaude all'iniziativa. «E' il primo atto anticlericale di Appendino» avrebbe commentato Silvio Viale, esponente del movimento radicale ed ex vicecapogruppo Pd.
La Chiesa torinese è però molto prudente, attenta a non lasciarsi trascinare nel gorgo delle polemiche, tanto più rischiose quanto più colpiscono l'intimità e l'affettività delle persone. «Non ci piace emettere giudizi solo sulla base di dichiarazioni e intorno a un tema così centrale è importante che non si faccia retorica», ci dice don Mario Aversano, direttore dell'Ufficio Diocesano di Pastorale della Famiglia. Nessun muro contro muro, dunque. «Bisognerà invece capire che cosa, nel concreto, si farà per le famiglie di Torino». Le priorità, come hanno potentemente dimostrato i mesi di campagna elettorale, sono tante e urgenti. «Accanto ai bisogni economici impellenti» riflette il sacerdote «c'è un inaridimento delle relazioni affettive che ha conseguenze gravi e che colpisce i più fragili, soprattutto i bambini e gli anziani. Dobbiamo ripartire dalla fraternità». E se le profonde lacerazioni nella famiglia tradizionale sono ormai sotto gli occhi di tutti «parrocchie e istituzioni religiose possono rispondere al bisogno di incontro e di “famiglia”, intesa come comunità nella quale ciascuno è importante, ciascuno è ascoltato».
A Torino la neo-sindaca ha voluto come assessore alle pari opportunità uno strenuo difensore dei diritti della comunità omosessuale. Recentemente papa Francesco ha detto che la Chiesa dovrebbe chiedere scusa ai gay. «In una comunità cristiana» risponde don Aversano «l'orientamento sessuale non può essere uno stigma. La sfida è mettere ciascuno nelle condizioni di raccontarsi per quello che è, evitando le categorie e guardando sempre alla persona».