Pregano per la pace nella Basilica inferiore di San Francesco i cristiani di tutte le denominazioni, accanto alla tomba di San Francesco, “amico dei poveri”, dice il Papa all’inizio dell’invocazione “per dissipare le tenebre del male del terrorismo e della violenza”. Le altre religioni pregano nello stesso momento in altri luoghi di Assisi. E’ una preghiera corale che sale al cielo dalla città della pace a trent’anni dalla intuizione profetica di Karol Wojtyla. E’ lo Spirito di Assisi che ancora si mette in moto e non sarà l’ultima volta. Bergoglio è seduto tra il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e il primate anglicano Welby. Parla per primo l’anglicano e denuncia le economie fondate sulla sabbia, che fanno correre gli uomini “dietro ad illusioni”, che alimentano paure anche dello “straniero”, che portano al “risentimento e alla rabbia”. Poi tocca a Bartolomeo proporre una meditazione nella quale spiega che oggi ai cristiani tocca una “testimonianza di comunione” cioè di amore e di pace, anche fino al martirio, come nei primi secoli della Chiesa e come ancora oggi accade “in troppe aree del mondo e soprattutto in Medio Oriente”. Papa Francesco riflette sulle parole di Gesù sulla croce: “Ho sete”. E spiega che oggi in queste parole “possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti, cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace”. Poi per essere più chiaro elenca coloro che implorano la pace: “Le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la terra di armi”; “i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa”. Tutti sono, aggiunge il Papa, “fratelli e sorelle del Crocefisso, piccoli del suo Regno”. Loro “hanno sete”, ma spesso, come a Gesù, viene offerto “l’aceto amaro del rifiuto”. Nessuno li ascolta, nessuno si preoccupa di rispondere a loro: “Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui si cambia un canale in televisione”. Invece è sulla croce, che il Papa chiama “albero della vita” che “il male è stato trasformato in bene” e i cristiani sono chiamati oggi ad essere loro stessi “alberi della vita”, cioè persone che “assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore”. Poi si prega per tutti i luoghi dove c’è guerra, violenza, tensioni. Dall’Afghanistan al Messico, dove ieri sono stati uccisi altri due sacerdoti vittime della violenza del narcotraffico, dal Gabon al Burundi a tanti Paesi africani, fino alla riconciliazione tra le due Coree. Naturalmente c’è la preghiera per la Siria e l’Iraq, per lo Yemen per la Terra Santa. E per l’Ucraina. E’ un lungo drammatico elenco. Si ricordano le vittime innocenti, gli anziani e i bambini, i prigionieri, tra cui i vescovi rapiti in Siria e per padre Paolo dall’Oglio, il gesuita scomparso in Siria tre anni fa e di cui non si hanno più notizie.