Chiede “rispetto” il segretario Matteo Renzi, aprendo i lavori dell’Assemblea nazionale del partito. Al di là dei suoi esiti (ci sarà la minacciata scissione della minoranza dem? Le dimissioni del segretario, un fatto formale in vista delle primarie, verranno confermate?) si può parlare della chiusura di una stagione politica. Una stagione erratica che ha visto come protagonista un politico di razza che ha attraversato la scena a passo forse un po’ troppo veloce.
Ripercorre questa parabola può a servire a capire i tempi che viviamo, forse un ritorno alla casella di partenza 25 anni dopo Tangentopoli. “E’ tornata la Prima Repubblica”, annuncia lo stesso Renzi alla platea dell'Hotel Parco dei Principi di Roma. Il segretario allude al ritorno del sistema proporzionale ma soprattutto alla frantumazione dei blocchi di Centrodestra e di Centrosinistra, di cui è stato certamente corresponsabile. Non si sa quando si andrà alle elezioni ma certamente si andrà in ordine sparso: Berlusconi contro Salvini, D’Alema e Bersani forse contro Renzi o Pisapia, Beppe Grillo contro tutti, ansioso di incassare il risultato del referendum del 4 dicembre, certo il più grosso e clamoroso errore politico di Matteo Renzi nei suoi tre anni di protagonista della vita pubblica italiana. L’averlo personalizzato in quel modo ha trascinato il Paese nell’incertezza attuale e nell’implosione del Partito Democratico.
Eppure la partenza di quell’avventura politica era stata folgorante: l’allora sindaco di Firenze, già presidente della Provincia, si candidava a rottamare “senza incentivi” (notare la ferocia sarcastica dell’affermazione) un’intera classe politica. L’intuizione geniale era trarre una nuova offerta politica dal fatto che l’attuale dirigenza Pd era in fase di stallo e tirava a campare su una pretesa superiorità morale nei confronti di Berlusconi, travolto dagli scandali e dai processi giudiziari. Nel suo tour in camper quel giovane trentenne dalla parlantina sciolta invece rivendicava gli errori madornali della dirigenza del suo partito (che aveva pugnalato alle spalle Bersani rinunciando a eleggere Prodi alle elezioni per la presidenza della Repubblica) e contemporaneamente tendeva una mano, fuori dal Pd, all’esercito di elettori delusi del Centrodestra. Chi scrive lo seguì in un paio delle sue convention. Già allora il suo bersaglio principale si chiamava Massimo D’Alema. Perse le primarie per diventare premier, nel dicembre 2012, sconfitto dall’apparato del vecchio Pci che gli preferì Bersani, ma vinse quelle di segretario, l’anno seguente. Meno di tre mesi dopo saliva al Quirinale per incassare il successo e divenire il più giovane premier della storia d’Italia. Piaceva la sua immagine giovanile, dinamica, fuori dai giochi della vecchia Repubblica che girava su sé stessa. Si faceva vedere a fare jogging e a convocare la riunione della direzione del Pd alle sette del mattino. Criticava chi aveva la scorta e che mai ne avrebbe usufruito ("mi protegge la gente"). Naturalmente la cosa durò un paio di riunioni poi tutto tornò nella norma, scorta compresa, ma intanto portava frutti di immagine. Dal punto di vista del marketing politico Renzi dava dei numeri anche a Berlusconi, che come è noto, lo adora ed è vivamente preoccupato per la sua eventuale uscita di scena.
La sua più grande intuizione politica è stato il Patto del Nazareno: offrendo una mano al patron di Forza Italia, che era nell’angolo, creò le condizioni per poter varare una serie di riforme e attirare i voti del Centrodestra in libera uscita. Contemporaneamente, la politica degli 80 euro a una fascia consistente dell’elettorato del Pd (e non solo) gli valse il successo anche all’interno della sua area politica, che gli perdonò persino l'aver cancellato l'articolo 18. Anche le critiche alla Cgil facevano parte del gioco. Quanto al nemico politico, essenziale per polarizzare qualunque formazione politica, scelse la minoranza dem di D'Alema, Bersani e Cuperlo, altra grande intuizione, cui attribuì tutti gli sbagli degli ultimi vent’anni. Un gioco che alla lunga doveva rivelarsi molto pericoloso e portare all'implosione del Pd, come sta avvenendo in queste ore.
Ma all'inizio questa innovativa strategia politica funzionò alla grande. Alle elezioni europee del maggio 2014 il Partito democratico passò dal 25 per cento a oltre il 40 per cento. Un successo che rimandava agli anni di De Gasperi. Persino la Merkel salutò Renzi come “El Matador”.
Il Governo avviò una stagione di riforme controverse, come il Jobs Act e la “Buona Scuola”. A suo grande merito va certamente ascritta la politica sulle migrazioni, tesa da un lato a salvare centinaia di migliaia di vite umane nel Mediterraneo (e immune da ogni tentazione che cedesse al populismo, da statista vero, come gli ha riconosciuto recentemente Pierluigi Castagnetti), dall’altro a rivendicare una maggiore presa di responsabilità da parte dell’Unione europea. Un altro notevole successo politico, indice della sua capacità tattica di fuoriclasse, è stato la salita al Quirinale di Sergio Mattarella.
Col tempo la sua immagine è sembrata appannarsi, complice una personalità poco incline al dialogo, un po' troppo votata agli annunci e alle slides, e tesa a circondarsi di un “giglio magico” abituato a non contraddirlo. Le amministrative sono state il preludio della sconfitta referendaria, come detto troppo personalizzata intorno alla figura di “un uomo solo al comando”. Renzi sperava di sfruttare il vento della ripresa economica, ma il vento è ancora troppo debole. Feroce la battuta del suo carissimo nemico D’Alema: “E’ una perdita di tempo provare a trattare con lui, io lo conosco, non farà mai un passo indietro”. Dopo le dimissioni da premier pare deciso ad intraprendere una sorta di traversata del deserto. “Il referendum è stata una botta per tutto il sistema Paese e noi dobbiamo rimettere in moto tutto il Paese”, ha annunciato all'assembloea nazionale di Roma. Ma gli crede ancora il Paese? E’ infatti difficile capire se il suo modello pericleo di “governo del primo cittadino” sia giunto al capolinea o abbia ancora margini di risalita. Il Paese dimentica in fretta i suoi protagonisti politici. Nei sondaggi è già in testa nel gradimento il suo ex ministro degli esteri, il conte Paolo Gentiloni. E questo Renzi lo sa.