Dare la parola agli uomini sulla questione della parità di genere e dei diritti delle donne. È quello che ha fatto Ilaria Li Vigni, avvocata penalista di Milano, esperta in politiche di genere, nel suo ultimo libro Sulle donne. La parola agli uomini. Il punto di vista maschile sulla parità di genere (Franco Angeli). Il volume pone cinque interrogativi a personalità tra politici, giornalisti, giuristi, imprenditori e sociologi tra cui Ferruccio de Bortoli, Carlo Cottarelli e Giuliano Pisapia, e affronta diversi temi tra cui le conseguenze sul mondo femminile della pandemia, il gender pay gap e un’analisi di alcune leggi.
Perché la parità di genere nel nostro Paese è un obiettivo ancora lontano da raggiungere?
«Direi che la questione sia prevalentemente culturale, soprattutto perché la società è ancorata a un modello androcentrico che si basa su regole maschile che escludono il femminile. In Italia vi sono ancora retaggi storici e politici che hanno costretto le donne in ambito familiare, punto di riferimento di figli e genitori anziani, sovente in una posizione di lavoro subordinato. Sono convinta che il problema culturale sia quello, paradossalmente, più complesso da risolvere. C’è stata certamente una progressione normativa ma non altrettanto un superamento di stereotipi e pregiudizi culturali. Importante è distribuire cultura attraverso incontri, convegni, scrivendo. In particolare, alle nuove generazioni che rappresentano i nostri testimoni».
Il libro parte dall'eredità della pandemia che ha colpito di più le donne rispetto agli uomini. Perché?
«Abbiamo vissuto anni molto particolari. La dimensione domestica era quella preponderante, soprattutto nel 2020 e 2021 e, ovviamente, le donne lavoratrici hanno dovuto privilegiare le questioni familiari (pensiamo alla didattica a distanza per i figli studenti e alla complicazione delle cure mediche per gli anziani), rinunciando, ovviamente, a molte prospettive lavorative. Poi la crisi economica, tuttora in essere, ha accentuato le problematiche, ridotto il tempo libero e aggravato la violenza domestica».
Il gender pay gap tra donne e uomini è ancora rilevante. Quali sono le cause e quali potrebbero essere le soluzioni? Bastano solo le leggi?
«Ritorniamo alla questione culturale, prima di tutto. La differenza retributiva, spesso, riguarda la differenza di ruolo, tra uomini e donne, nel mondo del lavoro. La legge n.127/2011, la cosiddetta. “Golfo Mosca”, è stata del tutto innovativa, introducendo un meccanismo volto a rendere più equilibrata la rappresentanza del genere meno rappresentato, all'interno degli organi collegiali (consigli di amministrazione e collegi sindacali) delle società per azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione europea e delle società, non quotate, controllate dalle pubbliche amministrazioni. Oggi, a distanza di 13 anni dall’entrata in vigore, vi sono stati miglioramenti, la rappresentanza femminile è incrementata e, quindi, il bilancio della legge è soddisfacente. Tuttavia la strada per arrivare alla parità di ruoli e, quindi, alla parità di redditi, è ancora lunga. Non bastano, di certo, le leggi, ma occorre partire da una battaglia quotidiana di legalità per l’effettiva parità di genere. Il tema è, ovviamente, molto complesso, si tratta di prevedere un welfare sostenibile e politiche attive a sostegno del ruolo femminile nel mondo del lavoro e del bilanciamento fra vita lavorativa e vita familiare».
Il fatto che in Italia ci siano due donne ai vertici della politica con Giorgia Meloni premier ed Elly Schlein leader del principale partito d'opposizione che tipo di segnale rappresenta? Può contribuire a un cambiamento culturale?
«Ritengo che non sia fondamentale solo il genere di chi si occupa della nostra vita politica (anche quello conta, ovviamente, ma è innegabile che vi siano molte più donne in politica rispetto a venti anni fa). Ciò che importa, ovviamente, è l’impronta culturale di cui la politica deve essere permeata, indipendente dal gruppo o partito di riferimento. Anche in politica, infatti, è ancora difficile che le donne facciano massa critica, la cosiddetta “rete” e a non adeguarsi a un modello maschile. La diversità deve essere vista come valore aggiunto nel confronto fondamentale tra i generi. Si ritorna allo stesso punto, anche nelle istituzioni e nei partiti serve un “concreto credere” alla parità di genere, in tutte le sue sfaccettature culturali».
Nel libro ha deciso coraggiosamente, o forse un po' provocatoriamente, di dare la parola agli uomini e questo non è usuale. Perché lo ha fatto? Non teme di essere accusata di affrontare i problemi delle donne da un punto di vista maschile?
«Tutt’altro. Mi occupo di politica forense da tempo e sono stata a contatto con gran parte dell’avvocatura, femminile e maschile. Da tante ho imparato, molte le ho frequentate e più di qualcuna è divenuta amica personale. Questo libro ne segue altri quattro che hanno avuto come protagoniste le avvocate, le giuriste d’impresa e in generale le professioniste. In questo caso ho voluto sentire il punto di vista maschile su temi relativi al genere femminile. Perché, anche nel mondo forense, è forte il rischio di “parlarsi addosso”, indossando dei cliché comportamentali un po’ stantii che non vanno al cuore del problema. Sentire, invece, la voce degli uomini sulla questione di genere mi ha consentito di approfondire molte tematiche ed è proprio dalle interviste conclusive che ho ricavato i maggiori spunti di riflessione, nelle varie professioni e secondo i vari punti di vista».