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venerdì 18 aprile 2025
 
 

La Peer Education nel contesto italiano

01/12/2011  La prevenzione tra pari, meglio nota con la formula anglosassone Peer Education, coincide con una precisa metodologia di lavoro finalizzata al coinvolgimento attivo degli adolescenti.

Si fa risalire la Peer Education (PE) al metodo di mutuo insegnamento elaborato dal religioso anglicano Andrew Bell (1753 – 1832) e dal quacchero Joseph Lancaster (1778 – 1838). Con esperienze simili, fra fine ’700 e primi anni del XIX secolo, il primo in India (Madras) e il secondo nei quartieri operai di Londra diedero vita a scuole dove un maestro istruiva gli allievi più competenti (i “monitori”) che poi ripetevano la lezione a piccoli gruppi di allievi. Sotto la supervisione del maestro, in grandi locali i “monitori” operavano contemporaneamente con una didattica semplificata (per esempio: cantilene da memorizzare) e strumenti economici (per esempio: cassette di sabbia quali lavagne). Tale movimento ebbe larga diffusione nell’area anglosassone (Gran Bretagna e Stati Uniti) e in gran parte d’Europa. In Italia fu in particolare sostenuto dal patriota lombardo Federico Confalonieri (1785 – 1846), da Silvio Pellico e dal federalista Giuseppe Pecchio (1785 – 1835) che ne diffuse i principi su “Il Conciliatore”. Il metodo monitoriale riuscì così a fronteggiare l’esigenza della nuova società industriale di una rapida alfabetizzazione dei “bambini poveri” (J. Bowen 1983); va comunque tenuto ben distinto dalla PE sia per la finalità più istruttiva che preventiva sia per il rapporto verticale dei “monitori”, più “vice-maestri” che “pari”.

Maggiormente anticipatrice della PE fu l’esperienza di Pestalozzi che nel 1798-99, trovandosi da solo e senza mezzi a gestire l’orfanatrofio svizzero di Stans, dove erano raccolti giovani di diverse età, figli dei rivoltosi antigiacobini uccisi dall’esercito francese, privilegia rispetto al modello dei “monitori” (ripetitori) quello della responsabilizzazione e della attivazione di una relazione “fraterna”, educativa e affettiva dei ragazzi più grandi che, oltreché allievi, diventarono “aiutanti e collaboratori”.

Un ulteriore elemento che caratterizza la PE è il suo collocarsi non tanto nell’ambito dell’apprendimento scolastico ma, a partire dagli anni ’70 del Novecento negli Stati Uniti, in quello dell’educazione sanitaria per sensibilizzare i giovani sulla diffusione delle infezioni sessualmente trasmesse (Ist), sull’uso di tabacco, droghe e alcol, sia in ambiti scolastici e giovanili sia in comunità locali come il quartiere gay di San Francisco. I peer educator, nel loro ambito di azione, “sono visti come uno di noi”: il messaggio orizzontale, in particolare in ambiti come quello giovanile, sembra dotato di maggiore efficacia. A questo si è aggiunta la crescente consapevolezza che l’informazione, anche se rigorosa, non è sufficiente a modificare i comportamenti.

1. Cosa intendiamo?

1. Cosa intendiamo? La Peer Education (declinabile in italiano come “prevenzione fra pari”) è una strategia di prevenzione basata sulla mobilitazione dei soggetti che comporta un percorso di gruppo scandito da fasi ben delineate, finalizzato verso un esito prestabilito (per esempio, la prevenzione delle Ist) e sufficientemente flessibile per garantire il suo adattarsi a obiettivi e situazioni anche molto diversi. La PE si configura come una risposta “dal basso” alla questione della prevenzione e ai limiti degli interventi incentrati solo sull’informazione. La PE si fonda su un rapporto di rete tra adolescenti, associazioni di volontariato e partner istituzionali (Asl, scuole secondarie, amministrazioni locali). La critica ai modelli tradizionali non deve essere intesa come annullamento del ruolo adulto, ma come il tentativo di valorizzare i diversi ruoli e le differenti competenze individuali, sociali e istituzionali. La PE si configura come una pratica educativa non autoritaria. Essa si diffonde grazie al protagonismo degli adolescenti (livello orizzontale) e alla ridefinizione del ruolo, maggiormente “defilato”, degli adulti (livello verticale) che svolgono una funzione imprescindibile di tutoraggio, formazione e coordinamento. La PE fa leva sull’apprendimento emotivo e sulla riattivazione dei processi di socializzazione naturale tra i ragazzi. Un’ulteriore spiegazione della sua efficacia è, infatti, da ricercare nella presenza di emozioni e esperienze condivise. I giovani, peer e non peer, parlano di sé, del proprio essere in relazione con il mondo, delle proprie emozioni e lo fanno utilizzando un linguaggio comune.

2. Cosa non intendiamo.

  

2. Cosa non intendiamo. La PE non è una forma di apprendimento scolastico, si distanzia dal cooperative learning e da qualsiasi forma didattica che, come nel mutuo insegnamento ottocentesco, valorizzi il ruolo dell’allievo come attore dell’apprendimento dei compagni.
La finalità non è cognitiva, ma preventiva.

La PE non è una modalità d’animazione giovanile, orientata su obiettivi interni di socializzazione e valorizzazione delle capacità e della creatività individuale e di gruppo, ma su obiettivi esterni prestabiliti, socialmente rilevanti (prevenzione sociale).

La Peer Education non è una dismissione dei ruoli degli adulti, ma mette in relazione, in modo diverso, mondo giovanile e mondo adulto, comunicazione orizzontale e comunicazione verticale. Il ruolo degli adulti si ridefinisce parallelamente alla definizione del ruolo dei giovani ragazzi (in questo caso: peer): ovvero un adulto che deve intendersi non tanto mobilitatore diretto dell’azione giovanile, ma piuttosto “operatore laterale” che prepara il terreno ma non interviene direttamente sulle dinamiche.

Se la PE è una strategia di prevenzione sociale che mette in campo l’azione diretta dei pari, per la sua realizzazione sono indispensabili alcuni “ingredienti”. Vediamoli.

a) L’ obiettivo di prevenzione

L’ambito privilegiato è quello della salute, ma non mancano esperienze in altri ambiti, come, per esempio, la prevenzione del bullismo o degli incidenti stradali. È fondamentale che l’obiettivo di prevenzione sia ben definito, non generico, ed esprima un’esigenza condivisa sia a livello istituzionale che da parte del gruppo dei pari. Se il tema delle Ist si incontra facilmente con l’aspirazione a una visione di sessualità consapevole liberata da timori e paure, altri temi quali quello del tabagismo possono essere più difficili da condividere; così come temi che coinvolgono in modo più profondo e complesso le dinamiche dei soggetti, quale quello dei disturbi alimentari (anoressia e bulimia): questi temi lasciano perplessi sulla possibilità di un utilizzo concreto della PE per la loro prevenzione.

b) L’individuazione del target di riferimento e del target bersaglio

Il target di riferimento privilegiato è dato dalla popolazione giovanile, in particolare quella scolastica, perché la comunicazione fra pari assume un valore fortemente emozionale nei gruppi giovanili, e l’ambito scolastico permette di raggiungere la maggior parte dei giovani. Particolare attenzione deve poi esser prestata al target bersaglio, specie nella fase di avvio di un progetto. Decidere di iniziare l’esperienza in una scuola, piuttosto che in un’altra, deve fare i conti con la disponibilità dei giovani e con il contesto: quanto la direzione e gli insegnanti di quella scuola condividono il progetto e sono disposti a crearne le condizioni favorevoli.

c) Il reclutamento e la formazione dei giovani peer

Il reclutamento richiede una fase preliminare di promozione che può avvenire con differenti modalità (materiale a stampa, incontri, filmati…); l’esperienza dice che la promozione è tanto più efficace tanto più è essa stessa progettata e gestita da coetanei. Vi è poi la fase di “accesso/selezione”: tutti coloro che lo desiderano possono diventare peer o devono esserci dei criteri selettivi? I diversi modelli di PE qui possono divergere in modo consistente. È una scelta o si è scelti (dai pari, dagli insegnanti, dai formatori)? Naturalmente le modalità di accesso sono collegate a come è concepita la formazione e il ruolo del peer.

d) Ruolo e formazione degli adulti

In primo luogo si fa riferimento agli adulti della rete territoriale che progetta, organizza e supporta gli interventi Asl (associazioni del terzo settore, scuole, enti locali…). La rete può esser nata dall’alto per un input istituzionale o dal basso; in ambedue i casi è essenziale che entrambe le dimensioni siano presenti: il supporto istituzionale per il reperimento delle risorse umane, professionali ed economiche e per la validazione dell’esperienza, e il coinvolgimento diretto di singoli in grado di condividere idee, linguaggi e progetti.

e) Setting di intervento

Ci riferiamo soprattutto al setting gestito dai peer, anche se, in relazione a questo, andranno definiti quelli degli interventi degli adulti e della formazione. Il peer deve poter operare in un setting strutturato in cui si trovi a suo agio perché già sperimentato con simulazioni nella formazione, e che gli permetta una comunicazione orizzontale calda, che faciliti l’emersione nel gruppo di ansie, emozioni e vissuti. Le tecniche e modalità di gestione dei gruppi proprie della psicologia sociale (focus group, brain storming, role playing, problem solving) sono quelle più generalmente utilizzate, non escludendo altre modalità di tipo artistico espressivo e comunicativo (come per esempio un video).

L’importante è che il modello d’intervento non sia calato dall’alto, ma costruito e condiviso dai peer sia durante la formazione iniziale sia, soprattutto, nei momenti formativi di rielaborazione dell’esperienza e preliminari a ulteriori interventi. Se questi cinque sono gli ingredienti fondamentali vi è un sesto ingrediente che potremmo definire trasversale, il sale che dà sapore al tutto: quello della partecipazione.

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, nel nostro Paese si sono sviluppati diversi progetti di PE, ispirati inizialmente alla tradizione anglosassone, interpretati in maniera differente a livello locale in funzione degli obiettivi assunti, delle diverse sensibilità e dell’influenza esercitata da alcuni modelli proposti a livello nazionale (cfr. Pellai A., 2002 pp. 57-63).

Di fronte a questo scenario possiamo individuare tre criteri per un confronto fra i vari progetti: i diversi target, le aree della prevenzione e i principali modelli di riferimento.

Tipologie di progetti

a) Target. Mentre nell’esperienza europea prevalgono quelli che individuano i destinatari nella popolazione studentesca, sia nelle prime esperienze statunitensi sia in molte più recenti, in particolare extraeuropee, i target di riferimento possono essere fra loro assai differenziati. Possiamo allora utilizzare un primo criterio di confronto: il target di riferimento distinguendo fra popolazione scolastica e popolazione extrascolastica; poi fra progetti rivolti solo a certe fasce d’età (giovani in particolare) e quelli che si rivolgono ad adulti o a gruppi/comunità non individuati in base all’età (per esempio, un quartiere, la popolazione carceraria, ecc.).

In maniera sintetica, ecco i target di riferimento:

A) a.1. Scuola, a.2. Extra- scuola;
B) b.1. Giovani, b.2. Adulti/ Popolazione indifferenziata. b) Aree della prevenzione.

Seguendo le indicazioni di Croce e Vassura (2011) possiamo individuare le tre fondamentali aree di prevenzione verso cui si muove la Peer Education:

  • area informativa (se sai che esiste il rischio, lo puoi evitare);
  • area di supporto educativo (se hai gli strumenti per riconoscere il rischio, lo puoi evitare);
  • area di promozione della cittadinanza attiva (se insieme ci aiutiamo e condividiamo gli strumenti per individuare e riconoscere il rischio, più facilmente possiamo collettivamente provare a evitarlo).
Modelli di riferimento (polarità leggera e polarità forte). I tentativi di identificare i “modelli” di Peer Education a partire dai riferimenti teorici non hanno dato vita a una classificazione condivisa.
Il motivo ci sembra chiaro: la PE può esser considerata una pedagogia dell’esperienza. Se esistono e sono identificabili dei “modelli” di PE questi non derivano da teorie (psicologiche e/o sociali) preesistenti; il rapporto con le scienze sociali è infatti quello di un utilizzo plurimo di categorie e metodi e della loro validazione sul campo.

Osservando e confrontando i diversi progetti ci è sembrato di poter individuare due polarità antitetiche a cui i diversi aspetti della PE possono esser riferiti.
Le due polarità sono, in primo luogo, quella leggera e, in seconda battuta, quella forte, identificabili attraverso cinque assi.

a) Obiettivi (e ricadute) degli interventi di prevenzione. La presenza o meno di un obiettivo preciso e delimitato (per esempio: prevenzione Aids/Ist) è il primo degli elementi che caratterizza il modello leggero; si tratta, in genere, di un obiettivo che ha un’ampia rilevanza sociale e che riguarda, direttamente o indirettamente, tutta la popolazione (o alcune sue fasce significative) di una comunità. Nella polarità forte la definizione dell’obiettivo è meno marcata in quanto si intende intervenire su una fascia abbastanza ampia (per esempio: life skill) che può, di volta in volta, esser specificata a seconda delle diverse situazioni.

b) Reclutamento e formazione dei peer educator. Nella polarità leggera la candidatura dei peer avviene per auto-selezione, sulla base del principio per il quale chiunque si renda disponibile può accedere a tale ruolo. Nella polarità forte l’arruolamento avviene sulla base di criteri prestabiliti di selezione. Il peer cioè è scelto dagli adulti o dai propri pari. Nella polarità leggera per la formazione si fa riferimento ai peer quali risorse non professionali, con competenze essenziali di psicologia sociale ai fini della gestione dei gruppi e una formazione circoscritta sul tema oggetto dell’intervento: una formazione leggera (mediamente 16-20 ore) integrata dall’esperienza sul campo. Nella polarità forte la formazione fornisce anche competenze con valenza cognitiva per costruire una professionalità più pronunciata che consente al peer di fornire risposte precise al gruppo dei pari sulle tematiche oggetto degli interventi: un programma formativo di 40-80 ore orientato sia a competenze comunicative, sia a conoscenze scientifiche più approfondite.

c) Ruolo degli adulti. La presenza di adulti prossimali (per esempio, gli insegnanti) con specifici interventi nei progetti, orienta l’intervento verso la polarità leggera; essi svolgono una funzione di supporto e rafforzativa rispetto ai peer fornendo, in uno spazio autonomo, le informazioni scientifiche corrette. Gli esperti esterni agiscono invece in modo indiretto all’interno dei percorsi formativi sia dei peer sia degli adulti. Nella polarità forte la presenza degli adulti prossimali non sempre è prevista. Il loro ruolo può esser delegato agli stessi peer educator che agiscono pertanto sia sul fronte comunicativo sia su quello informativo, eventualmente supportati dalla presenza degli esperti esterni.

d) Il setting degli interventi. Nel caso della polarità leggera lo spazio ha una configurazione sempre diversa dal setting scolastico, è orientato a facilitare un intervento di tipo animativo (per esempio, quello circolare nel caso del focus group) associato a un tipo di comunicazione calda e orizzontale che facilita l’emersione di ansie ed emozioni e nel quale viene privilegiata la relazione tra i peer e il gruppo.

Nella polarità forte si prevede anche un setting di tipo scolastico centrato sulla modalità della lezione nella quale si privilegia la relazione fra il peer e i singoli. Si tratta di uno spazio maturo nel quale è possibile affrontare i problemi in modo razionale piuttosto che emotivo. Nella prima modalità sono i peer stessi a gestire il gruppo classe, mentre gli adulti prossimali intervengono separatamente in un apposito spazio; nella seconda modalità i peer possono essere affiancati dagli adulti (insegnanti o più spesso operatori dei servizi o esperti esterni) che li coadiuvano al fine di modulare gli interventi in contesti diversi e affrontare problematiche anche molto specifiche.

e) Rete territoriale e comunità. Una rete territoriale di supporto si rivela essenziale nella promozione di tutti gli interventi di PE.
Nella modalità leggera la rete si costituisce generalmente dal basso, sulla base della condivisione delle competenze, mentre nell’altro caso nasce e si sviluppa più per effetto di un processo dall’alto e ha il suo punto di forza nella presenza di un partner esterno, per esempio una agenzia formativa, che si fa garante della sviluppo degli interventi e dell’adesione agli obiettivi prefissati.

La progettazione degli interventi nel primo caso avviene a livello di comunità territoriale, mentre nel secondo caso è circoscritta a specifiche realtà. Nel caso contrario (polarità forte) questi processi risultano meno fluidi poiché vengono mediati dagli adulti, mentre la propensione alla costituzione di capitale sociale giovanile da parte dei peer è meno pronunciata a vantaggio di una loro maggior professionalizzazione individuale.

Negli ultimi anni, tenendo presente la sua ampia diffusione, la Peer Education sembra esser diventata di moda tra gli operatori e i finanziatori dei progetti sulla salute. Volendo essere più precisi, la PE è diventato un “marchio” capace di rendere (per lo meno a parole) innovativo qualsiasi progetto di promozione educativa e di prevenzione del disagio. Il rischio che numerosi programmi educativi siano automaticamente (e forse troppo frettolosamente) definiti come Peer Education, allora, è dietro l’angolo.

A volte si ha il sospetto che la stessa popolarità della PE sia frutto di un malinteso.
Da un lato, i ricercatori e gli operatori sono a conoscenza della complessità di questa metodologia che implica un notevole investimento culturale e pedagogico.
Dall’altro, invece, si ha l’impressione che la PE venga concepita piuttosto come pratica di “risparmio” di tempo e di risorse economiche e professionali.

Ai promotori, in ultima analisi, non deve sfuggire il rischio che, in una società come quella attuale sempre più attenta all’efficacia e alla standardizzazione, la Peer Education possa essere confusa con un “modello di addestramento”.
Se è vero che la Peer Education corrisponde e fa riferimento a criteri e metodi precisi, lo stesso non possiamo dire del peer educator, che in nessun modo deve essere visto e concepito come qualcuno cui omologarsi, un modello standard da imitare.
La Peer Education, e ciò va ribadito fino alla fine, nasce e cresce proprio dentro il gruppo dei pari, riconoscendo con forza che il piccolo gruppo rimane il cardine della possibilità stessa d’individuazione personale e di conseguenza dello sviluppo del benessere esistenziale.

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