Totò Riina finirà automaticamente ai domiciliari? Come si valuta la pericolosità sociale del capo dei capi? I suoi diritti vengono prima o dopo rispetto a quelli delle persone che potrebbe mettere in pericolo? Che cosa fa esattamente un Tribunale di sorveglianza? Tutte domande che rimbalzano sui media dalla notizia del ricorso di Riina accolto.
Abbiamo chiesto a Laura Alessandrelli, magistrato al Tribunale di sorveglianza di Roma che ha competenza nazionale sui reclami contro i decreti di applicazione del 41 bis, di aiutarci a capire meglio la portata reale della sentenza della Cassazione che tanto sta facendo discutere e che cosa succede in questi casi.
Dottoressa Alessandrelli, che c'è di nuovo in questa sentenza?
«E' una normale interlocuzione tra vari gradi di giudizio. Le decisioni del Tribunale di sorveglianza vengono impugnate direttamente in Cassazione. E' semplicemente una sentenza in cui la Cassazione richiede di motivare più ampiamente l'aspetto dell'attualità del pericolo in relazione alle condizioni di salute, ribadendo un principio pacifico e cioè che i diritti umani devono essere salvaguardati e contemperati anche con le esigenze di sicurezza e con le esigenze sottese all'espiazione della pena. La Cassazione lo ha ricordato nel richiedere al Tribunale di sorveglianza di motivare meglio su questo specifico aspetto. Nemmeno si può dire che si sia stabilito un principio nuovo cui il Tribunale di sorveglianza sia vincolato di qui in poi».
Possiamo spiegare che cos'è il differimento dell'esecuzione della pena chiesto da Riina?
«In concreto si prevede che per gravissime esigenze di salute, laddove le condizioni del condannato siano incompatibili con il regime detentivo, si possa arrivare al differimento dell'esecuzione della pena, eventualmente anche nelle forme della detenzione domiciliare qualora ne ricorrano i presupposti. E' un istituto disciplinato dall'art. 147 del codice penale, ma va ricordato che l'articolo pone come sbarramento e come norma di chiusura il fatto che, quand'anche ci siano condizioni di incompatibilità con il carcere, queste condizioni vanno attentamente soppesate in caso di profili di pericolosità sociale. Perché nel caso di un detenuto socialmente pericoloso certe esigenze di cura possono anche cedere di fronte alle esigenze della società (fatto salvo ovviamente il fatto che continui a essere curato in carcere ndr.)»
Una questione di diritti da bilanciare?
«Esiste un nucleo di diritti soggettivi che sono tutelati dall'ordinamento giudiziario, a partire dalla Costituzione per finire all'ultima delle norme speciali, ma sono diritti che possono essere gradualmente compressi in proporzione alla pericolosità sociale del detenuto. Nel caso di cui si parla la pericolosità sociale è massima, perché diversamente Totò Riina non sarebbe al 41 bis. La Cassazione infatti lo dà per scontato e dice, fermo restante il fatto che è pericoloso, valutate meglio su come questa pericolosità debba essere soppesata con il diritto a morire in condizioni cosiddette "dignitose", senza che venga specificato in che cosa si concretizzino».
A questo proposito, c'è il precedente che riguarda il caso di Provenzano. Che cos'hanno in comune?
«Per Provenzano, il provvedimento di scarcerazione è arrivato in extremis. Era gravemente malato ed è rimasto al 41 bis fino alla fine perché non si poteva escludere che nei momenti di lucidità che la patologia gli lasciava potesse recuperare una funzione di capo promotore di azioni criminali. Nel caso di Riina questa pericolosità è maggiore».
Anche perché si tratta di una funzione percepita all'esterno…
«Esatto. Nel caso di Riina abbiamo evidenze recenti: intercettazioni, fatti nuovi sopravvenuti durante la detenzione tanto è vero che il 41 bis è stato ampiamente confermato, prorogato, anche dalla Cassazione che ora chiede di motivare meglio un aspetto specifico di questa pericolosità».
Il caso Riina fa clamore in quanto simbolico?
«L'attenzione si spiega col fatto che è la figura del condannato a essere simbolica in questo caso: Riina è forse l'espressione massima del potere e della pervasività del fenomeno mafioso, ma il contenuto del provvedimento che lo riguarda non è affatto eccezionale: perché la salvaguardia dei diritti umani è la stessa a prescindere dal fatto che si tratti di Totò Riina o dell'ultimo ladro di polli».
Capita che il cittadino chieda in che cosa consista la pericolosità di un detenuto in un regime restrittivo menomato fisicamente, possiamo provare a spiegarlo?
«Qui entriamo nel campo dei presupposti di conferma del 41 bis, cosa che non ha a che vedere con questioni di salute: si verificano quando si valuta che un detenuto in regime differenziato, se rimesso nel circuito di detenzione ordinaria, senza tutte le restrizioni previste dal 41 bis, sarebbe in grado di riprendere i contatti con l'organizzazione mafiosa esterna e di riaffermare la propria leadership con la ripresa dell'attività criminale. Si tenga conto del fatto che per confermare un 41 bis non serve che ci sia la certezza, è sufficiente che si profili il pericolo».