La droga sta diventando la causa della maggior parte dei fatti di cronaca nera. Da Corinaldo, dove la banda dello spray che ha causato una strage in discoteca, per farsi coraggio, faceva uso di cocaina, fino alla bimba di 10 anni che, ricoverata al pronto soccorso, in Brianza, per strani sintomi d’irrequietezza, è risultata positiva alla cocaina.
La tendenza al consumo di droga è in aumento. Un sondaggio europeo registra, nell’ultimo anno, in Italia, l’aumento del 10% di decessi legati agli stupefacenti. E, stando alle informazioni di Palazzo Chigi, la droga muove 14,4 miliardi di euro, quasi un punto di Pil. Oltre alla cannabis e all’eroina, oggi si registra un autentico boom della cocaina, che rende esagitati e aggressivi ed è facile da procurarsi: per strada, all’uscita di scuola, nei bar, nei pub, nelle discoteche e persino sulla rete. Oggi, poi, i giovanissimi sono allettati dalle Nps (Nuove sostanze psicoattive), al secondo posto nel consumo: droghe create in laboratorio a partire da componenti non ancora indicizzati fra i principi attivi proibiti.
C’è un fattore culturale che spinge all’uso di queste sostanze. La presenza, in un certo universo giovanile, di una componente nichilista, l’assenza di progettualità, la mancanza di intenzione “prestazionale”. Ma anche la quasi inesistenza di adulti disposti a valutare le capacità e i meriti dei giovani che hanno di fronte. «Quando sono molto fragili e non hanno supporti da famigliari o amici», nota il filosofo Stefano Zecchi, «i nostri giovani spesso finiscono in questa deriva nichilistica. Della serie: “Io non so che farmene della mia vita”. Cedono così all’idea che il tutto e il niente sono la stessa cosa. Una malattia molto giovanile».
LUCIANO VERDONE
La deriva nichilista in cui finiscono alcuni giovani è un fenomeno che deve interrogarci. La soluzione all’abuso di sostanze stupefacenti non può limitarsi alla proibizione o a una stretta legislativa. Quello che più conta sono la cultura, i valori, il senso della vita che trasmettiamo ai nostri figli e nipoti. Se ciò che conta è solo possedere e apparire, consumare e divertirsi, se il messaggio che comunichiamo è che nella vita bisogna essere più furbi degli altri, approfittatori, se dilaga una mentalità basata sulla corruzione e sull’imbroglio e non sul merito e sull’impegno, è chiaro che i giovani, che in fondo all’animo sono generosi e “puri”, si lasciano andare a ogni forma di sballo. Dove, appunto, «il tutto e il niente sono la stessa cosa».
Senza dimenticare la forza perversa di ogni stupefacente: crea sempre più dipendenza, fa entrare in una spirale in cui ogni volta c’è bisogno di una dose maggiore per ottenere lo stesso effetto. È quello che la Bibbia denuncia come culto degli idoli: chi abbandona Dio per servirli o avere da loro dei benefici, finisce col diventarne schiavo.
Penso che almeno noi cristiani, dando l’esempio di una vita buona, basata sull’amore che il Vangelo ci insegna, e fondata sulla fede intesa come abbandono fiducioso al Signore, dovremmo testimoniare che la vita ha un senso, è un dono, vale la pena viverla in pienezza non chiudendosi nell’egoismo, ma aprendoci alla solidarietà, al servizio, all’onestà.