Dal nostro inviato
in Turchia
«In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani». Papa Francesco lo dice chiaramente parlando con Mehmet Gormez, presidente della Niyanet, il Dipartimento per gli affari religiosi, cioè la più alta Autorità religiosa islamica sunnita in Turchia. La Diyanet, per volontà di Ataturk ha sostituito, dal 1924, il ministero della Shari'a attivo sotto il Califfato.
Papa Francesco ripete, anche alle autorità religiose, la sua preoccupazione appena espressa al presidente Erdogan: «Veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria. Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo. Particolare preoccupazione desta il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro».
Poco prima, nel salutarlo, Mehmet Gormez aveva invitato a «lavorare insieme contro chi strumentalizza le religioni», ricordando che la «religione è la via che conduce l'uomo alla vita e non alla morte. Ogni religione deve avere come obiettivo la felicità dell'uomo». Cita due volte la Torah, il presidente della Diyanet per dire che «sono beati coloro che lavorano per la pace. Un messaggio di cui ancora oggi c'è bisogno».
Papa Francesco con Mehmet Gormez, presidente della Niyanet, il Dipartimento per gli affari religiosi, cioè la più alta Autorità religiosa islamica sunnita in Turchia. Foto Reuters.
Non basta la denuncia, dice papa Francesco, ma le religioni hanno la
responsabilità di lavorare per una pace concreta, «attraverso un dialogo creativo con nuove forme». E spiega che tra musulmani e cristiani ci sono molti elementi comuni: «Noi, Musulmani e Cristiani, siamo depositari di inestimabili tesori spirituali, tra i quali riconosciamo elementi di comunanza, pur vissuti secondo le proprie tradizioni: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno...
Elementi che, vissuti in maniera sincera, possono trasformare la vita e
dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini.
Riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale –attraverso il
dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella
società i valori morali, la pace e la libertà. Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti».
Ed è proprio lavorando insieme sull'accoglienza e la solidarietà che le
religioni già sperimentano un dialogo concreto. Il Papa esprime «apprezzamento
per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno
facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro
Paesi a causa dei conflitti. È questo un esempio concreto di come
lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e
sostenere».
Un incontro non di circostanza quello di papa Francesco. Se, infatti,
è «tradizione che i Papi, quando viaggiano in diversi Paesi come parte
della loro missione, incontrino anche le autorità e le comunità di altre
religioni», Bergoglio ha voluto dare a questo incontro un particolare
valore di apertura al dialogo e di impegno per migliorare i rapporti:
«Le buone relazioni e il dialogo tra leader religiosi rivestono infatti
una grande importanza. Essi rappresentano un chiaro messaggio
indirizzato alle rispettive comunità, per esprimere che il mutuo
rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze. Tale
amicizia, oltre ad essere un valore in sé, acquista speciale significato
e ulteriore importanza in un tempi di crisi come il nostro, crisi
che in alcune aree del mondo diventano veri drammi per intere
popolazioni. Vi sono infatti guerre che seminano vittime e distruzioni;
tensioni e conflitti inter-etnici e interreligiosi; fame e povertà che
affliggono centinaia di milioni di persone; danni all’ambiente naturale,
all’aria, all’acqua, alla terra».