Il nuovo ministro degli esteri cinese, Qin Gang (compie 57 anni il 19 marzo). Foto Ansa. In alto: l'incontro tra Gang e il suo omologo russo Sergej Viktorovič Lavrov, 73 anni il 21 marzo, a margine del G20, il 2 marzo 2023, in India, a Nuova Delhi. Foto Ansa. In copertina: addestramento di militari cinesi in una foto d'archivio (Reuters).
Hong Kong, nostro servizio
Gli Stati Uniti devono cambiare il loro modo “distorto” di guardare alla Cina altrimenti ci saranno “conflitti e duri confronti”. È quanto ha affermato il ministro cinese degli esteri Qin Gang in una conferenza stampa al margine dell’Assemblea nazionale del popolo in corso a Pechino. L'occasione è il primo incontro pubblico di Qin Gang, che fino allo scorso anno era ambasciatore a Washington. La conferenza era stata preparata per tempo, con domande scelte da giornalisti che dovevano sottoporle tre settimane prima. Qin Gang ha anche denunciato il “neomaccarthismo isterico” di Washington, di cui la Cina sarebbe vittima. “Definendo la Cina come il rivale principale e la loro sfida più seria, gli Stati Uniti hanno commesso un errore fin dall’inizio”, deviando dalla “buona strada, quella della politica ragionevole e sana”.
Quella di Qin Gang è un ulteriore segno che la cosiddetta politica dei “lupi guerrieri” non è finita. Lanciata nel 2020, tale politica cinese rintuzza colpo su colpo le accuse dell’esterno, accusando a sua volta l’interlocutore. Un tipico esempio di tale stile è stato quando nel 2020 il portavoce del ministero degli esteri, Zhao Lijian, rifiutando le responsabilità cinesi sulla diffusione del virus Covid-19 a Wuhan, ha accusato gli Usa di averlo disseminato in Cina. Le accuse dirette agli Usa di Qin Gang hanno avuto come preludio quelle di Xi Jinping, di solito più moderato. Ma nei giorni scorsi, a un incontro con imprenditori cinesi ha detto che “I Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno messo in atto una [politica che tende a] contenerci, ad accerchiarci e a soffocarci, che pone delle sfide senza precedenti allo sviluppo della Cina”. Il riferimento di Xi è all’embargo voluto da Stati Uniti e da altri Paesi a vendere alla Cina prodotti di intelligenza artificiale e semiconduttori di ultima generazione che hanno azzoppato compagnie come Huawei e altre del settore.
Parata militare nel cuore di Pechino nel 2019. Foto Ansa.
Pechino, d’altra parte, pur avendo sostenuto con enormi finanziamenti la ricerca interna, non è ancora riuscita a raggiungere risultati soddisfacenti. Quella che ai tempi di Trump era solo una diatriba commerciale, con gli Usa che premevano per una maggiore libertà nel commercio, denunciando gli aiuti statali all’export cinese, è ormai divenuta uno scontro su tutti i campi, con gli Usa e l’Europa che sanzionano personaggi e compagnie in nome delle violazioni ai diritti umani in Xinjiang, a Hong Kong, per la democrazia, e chiedono un trattamento degli investitori stranieri alla pari con quelli cinesi. A questi si aggiungono la libertà di movimento nel Mar Cinese meridionale (che Pechino reputa di sua proprietà), il destino di Taiwan – che la Cina vuole riassorbire senza tener conto della storia e dell’evoluzione dell’isola.
In nome della difesa del Mar Cinese meridionale, gli Usa hanno creato un’alleanza con Giappone, Corea del Sud, Australia, India e altri (Quad). Da parte sua la Cina costruisce alleanze con Russia, Iran, Arabia Saudita, Corea del Nord, e con molti Paesi in via di sviluppo che necessitano dei suoi aiuti, anche se in questi ultimi mesi, il grande progetto della Nuova Via della Seta (Belt and Road initiative) va a rilento per una riduzione dei fonti stanziati e perché i Paesi beneficiati si scoprono più indebitati che mai. Gli unici a tenere testa ai due grandi contendenti sono i Paesi dell’Asean, timorosi della forza militare cinese – e per questo esprimono amicizia con gli Usa – ma anche desiderosi di continuare il commercio con il dragone. Essi non si mettono contro nessuno, ma esortano di continuo al dialogo fra le due superpotenze.
Alla conferenza stampa Qin Gang ha difeso l’amicizia della Cina con la Russia, denigrando gli Stati Uniti per le sanzioni contro il vicino ex sovietico. Qin Gang ha rivendicato la neutralità del suo Paese nei confronti di Mosca e Kiev, anche se Xi Jinping ha parlato molte volte con Vladimir Putin, ma mai con gli ucraini e con Zelenski. Inoltre, Pechino non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina e ripete lo slogan russo che è la Nato ad avere innescato la guerra. Per Qin Gang, “una mano invisibile” spinge per l’escalation della guerra in Ucraina e “sta usando la crisi ucraina per alcuni scopi geopolitici”. Sulla questione di Taiwan, Qin Gang ha citato il nuovo testo della Costituzione cinese che ribadisce che l’isola fa parte “dell’integrità territoriale” della Cina e che il suo Paese “manterrà aperta l’opzione di prendere ogni azione necessaria”, anche quella della forza.
In questa foto Reuters d'archivio, militari cinesi durante un addestramento.
Proprio in questi giorni il premier Li Keqiang, alla relazione iniziale sullo stato della nazione, ha stabilito che per quest’anno il bilancio delle spese militari sarà aumentato del 7%, più di quello previsto per la crescita del Paese, fissato “attorno al 5%”. Secondo diversi analisti, la Cina sta potenziando il suo arsenale militare proprio con lo scopo di contrastare la potenza statunitense e lanciare un’invasione di Taiwan. Le aspre accuse contro gli Usa e la retorica nazionalistica di Qin Gang (e di Xi) vengono a pochi giorni dalla relazione di Li Keqiang, il premier che lascerà di qui a poco per (quasi) raggiunti limiti di età. Nel suo testo egli ha mostrato le difficoltà in cui si dibatte la Cina, insieme al resto del mondo: energia, cibo, catene di approvvigionamento e “molte barriere istituzionali che frenano lo sviluppo economico”. E ha detto che il suo Paese spingerà verso “riforme”, miglioramenti dei salari, impieghi per garantire la “stabilità".