Le donne parlamentari come accolgono la proposta della Lega, presentata lo scorso aprile e che ha come firmatari Massimo Bitonci e Giancarlo Giorgetti, di rendere legale la prostituzione?
«La legalizzazione della prostituzione non è presente nel contratto di Governo», taglia corto Maria Edera Spadoni, 39 anni, vicepresidente della Camera dei deputati e parlamentare del Movimento 5 Stelle. «Una proposta di legge a proposito era stata presentata a mia prima firma nella precedente legislatura; va detto però che questo testo metteva dei paletti molto rigidi alla legalizzazione per evitare che vi fosse uno sfruttamento delle donne», aggiunge Spadoni, sottolineando che «è stata la più votata sulla piattaforma Rousseau degli iscritti del Movimento 5 Stelle».
La proposta di legge è stata presentata alla Camera dei deputati il 17 settembre 2017 con il titolo “Disciplina dell’esercizio della prostituzione”. Preso atto della “scarsa utilità ed efficacia della normativa vigente” (cioè la Legge Merlin del 1958), il principio ispiratore della proposta di legge «è quello di far emergere la prostituzione regolandone l’accesso, prevedendo strumenti di contrasto estremo all’attività irregolare con il precipuo scopo di colpire duramente non solo l’offerta irregolare ma anche, e soprattutto, la domanda di prestazioni irregolari. È per questo che, a differenza della normativa vigente, una volta riconosciuta la possibilità di esercitare legalmente la prostituzione, si ritiene fondamentale provvedere a sanzionare non solo chi la induce e sfrutta al di fuori del perimetro legale, ma soprattutto di aggredirne il mercato irregolare perseguendo i soggetti che a esso intendono rivolgersi».
Potrebbero quindi esserci dei punti di sintonia con la proposta della Lega, tuttavia Maria Edera Spadoni ribadisce: «I punti all’interno del contratto di Governo, su cui dobbiamo concentrarci, sono davvero tanti. La legalizzazione della prostituzione non è nel contratto e non è quindi una priorità».
Anche Caterina Bini, 43 anni, senatrice toscana del Pd, è la prima firmataria di un disegno di legge che modifica in parte la Legge Merlin. Il suo giudizio sulla eventuale legalizzazione della prostituzione è “molto negativo”. «Sarebbe un ritorno al passato e un tentativo di risolvere il problema in modo finto, nascondendo la polvere sotto il tappeto», spiega la senatrice Bini. «Siamo sicuri», si chiede, «che la riapertura delle case chiuse risolve il problema di fondo, cioè lo sfruttamento delle donne, la violenza nei loro confronti e la tratta di esseri umani, che ormai rappresenta il secondo traffico illecito internazionale dopo quello della droga? Le esperienze dell’Olanda e della Germania dimostrano il contrario e le storie della ragazze vittime dello sfruttamento, che ho incontrato grazie alla Comunità Papa Giovanni XXIII, lo confermano».
Bini propone di colpire con severità i clienti. «Una linea», spiega, «che segue una risoluzione in tal senso da parte del Parlamento europeo». Il suo disegno di legge, composto di un solo articolo che modifica l’articolo 3 della Legge Merlin, prevede multe comprese fra i 2.500 e i 10.000 euro per «chiunque si avvalga delle prestazioni sessuali offerte da soggetti che esercitano la prostituzione o le contratti, in qualsiasi luogo, pubblico o privato». In caso di reiterazione del reato è previsto anche un anno di reclusione.
Legalizzare le case chiuse non convince neppure Paola Binetti, 75 anni, senatrice di Forza Italia. «Premetto», spiega Binetti, «che una donna, un uomo o un transgender a casa sua, se lo fa volontariamente e senza costrizione, può ricevere chi vuole. Ma l’apertura di case chiuse organizzate e identificate come tali, magari con una etichetta esterna e un tariffario, come dai parrucchieri, sarebbe lesiva della dignità delle donne che ci lavorano. Sappiamo che per gran parte delle donne che vediamo nelle strade delle nostre città la prostituzione non è una libera scelta ma vi sono spinte dalla necessità, dalla povertà e perché sono vittime di quelle forme di schiavitù più volte denunciate da papa Francesco».
Su questo dibattito, invece, le parlamentari leghiste non hanno voluto rilasciare dichiarazioni.