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martedì 15 ottobre 2024
 
 

La politica sia meno cinica sui migranti

27/12/2017  «Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, anziché costruire la pace, seminano violenza»: l'anticipazione dell'editoriale di don Antonio Sciortino, sul numero di gennaio di Vita Pastorale.

Siamo ormai vicini alle elezioni e il clima politico si surriscalda nel Paese, con i partiti che, come al solito, danno il peggio di sé, pur di raccattare qualche voto in più. Ogni giorno, sempre più in basso, tra litigi, divisioni e insulti. In una confusione totale, che non lascia sperare nulla di buono per il Paese. Dell’interesse dei cittadini, nessun cenno. Così anche del problema del lavoro e del futuro dei giovani. Richiederebbero impegno, intelligenza, programmazione e visione di futuro. Troppa fatica. Più facile, allora, parlare alla pancia della gente. E speculare sulle loro paure. Basta un “capro espiatorio”, e lì scaricare il malessere generale. Un irresponsabile populismo, che ha gioco facile con gli immigrati. Niente di meglio, quindi, che scatenare una guerra tra poveri: prima i nostri e poi gli altri. Anzi, questi farebbero bene a restare a casa loro! Nel frattempo, non si fa nulla per gli uni e per gli altri. Solo bieca propaganda. Peccato che, timorosi di perdere consensi, rincorrono questa scia anche quelli che, per ideali e tradizione, stavano con i più deboli.

Ai nostri intriganti politici, se si ritagliassero un momento di lucidità, farebbe bene la lettura del Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace, che si celebra il 1° gennaio 2018. Quest’anno il tema è dedicato ai “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”, cioè oltre 250 milioni in tutto il mondo, «che cercano un luogo dove vivere in pace». E per trovarlo «sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta». Non vengono da noi per un viaggio di piacere, ma costretti a fuggire e a lasciare le loro terre a causa delle guerre, delle persecuzioni, della fame, della povertà e del degrado ambientale. «In molti Paesi di destinazione», ammonisce papa Francesco, «si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio». E aggiunge: «Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano». Parole nette e sagge, di fronte a un fenomeno migratorio che non è una emergenza, ma un fenomeno strutturale con cui dover fare i conti. Non, però, con la politica dello struzzo, con la testa sotto la sabbia, facendo finta di ignorare che in Italia già vivono sei milioni circa di stranieri; e che la nostra società – volenti o nolenti –, è già di fatto multietnica, multiculturale e multireligiosa.

Questa è la realtà da affrontare con umanità e civiltà, mettendo da parte le vuote ideologie. E trasformando quelle che vengono enfatizzate come minacce in opportunità per costruire un futuro di pace. O quella “convivialità delle differenze”, come diceva don Tonino Bello, che distingue la civiltà di una nazione. «Tutti facciamo parte di una sola famiglia umana», ricorda il Papa, «migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto a usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale». Spesso dimentichiamo che migranti e rifugiati «non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio, capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono». Diceva Giovanni Paolo II: «Se si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”». Una politica meno cinica comincerebbe con il riconoscimento dello “ius soli”.

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